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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza e via Sant’Eustachio (R. VIII – Sant’Eustachio) (vi convergono: via della Palombella, via della Dogana Vecchia, confina a sud con piazza dei Caprettari, via di Sant'Eustachio che arriva fino alla salita de' Crescenzi).

Dalla chiesa del santo, che sarebbe sorta sul luogo della sua abitazione e che sarebbe servita come luogo di riunione ai cristiani (“domus ecclesiae” diventata poi una “domus Dei o Dominicum”).

La Piazza si chiamò della “Dogana”, della “Conca”, per 3 vasche termali “maximae capacitatis”, mentre la chiesa fu anche indicata come “iuxta templum Agrippae” pure più comunemente fu detta in “platana”.[1]

La testa di cervo che è sul timpano, si riferisce alla leggenda medioevale che racconta come il santo, andando a caccia nei monti della Mentorella (prossima a Guadagnolo), vide un cervo con una croce fra le corna, pel quale miracolo diventò cristiano con sua moglie e i figli, e soffrì il martirio nel 79.

Fin dal 795 la chiesa è ricordata da Leone III (795-816) come antica diaconia romana e Stefano III (752-757) vi aveva istituito un ospizio per 100 poveri.

Riedificata  da  Celestino  III  (Giacinto Bobone Orsini - 1191-1198),  ma del  portico  con  colonne  di marmo, delle tre navate divise da otto colonne per parte, di marmo diverso, del pavimento a mosaico, è rimasto solo il campanile, che ha la campana più piccola del 1403, ed almeno una, secondo Ennio Quirino Visconti (1751-1818), di quelle asportate dalla cattedrale di Castro, quando venne distrutta per ordine di Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) nel 1649, per aver favorito l’assassino del proprio vescovo.

Pure nella ricostruzione del 1700 scomparvero: un ciborio del XII sec., donato da un Ottonello, forse dei conti di Tuscolo, sotto Alessandro II (Anselmo da Baggio - 1061-1073); l’urna porfirica dove Celestino III (Giacinto Bobone Orsini - 1191-1198) aveva posto i SS. Martiri, ecc.
E poiché in S. Eustachio, dal vicino “Studium Urbis[2], venivano conferite le lauree e si tenevano pubbliche dispute con Uditori di Rota e avvocati concistoriali [3],  Pasquino commentò:

“Nessuno può negar che il Sant’Eustachio
Ben vedesse nei boschi, al Guadagnolo,
Un cervo santo con la Croce in testa;
Ma non comprendo la ragione onesta
Come nel tempio suo, ai Caprettari,
T’abbian confuso i cervi coi somari”. 

Il clero di Sant’Eustachio, probabilmente una collegiata di sacerdoti secolari, aveva  ottenuto, nel 1017, di veder definiti i confini dei beni propri e di quelli dell’Abazia di Farfa [4]

L’acqua Felice, che alimentava le terme di Alessandro Severo (222-235), tra l’attuale Piazza S. Eustachio e il Pantheon, è l’antica acqua Alessandrina derivata dalla tenuta di Pantano.
Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), quando era ancora cardinale, acquistò la sorgente da Mario Colonna per 25.000 scudi e, fatto poi riparare l’acquedotto, se ne servì per la sua villa sull’Esquilino e per la mostra a Piazza S. Bernardo.

In quel tempo, i norcini, corporazione autonoma da quella dei macellai,  non avevano la possibilità della residenza permanente in Roma, dove potevano trattenersi solo durante i mesi della macellazione suina.
Più tardi, tolto il divieto, essi costituirono un loro sodalizio che ebbe la sua prima sede nella chiesa di Sant’Eustachio, da dove passò a piazza Colonna, in quella di San Paolo alla Colonna (demolita per la costruzione di palazzo Chigi).
Un loro ospedale era annesso ad una cappella in via Torre Argentina, donata al sodalizio dal conterraneo tal Lucarucci. La cappella, dedicata ai santi Benedetto e Scolastica [5], cominciò a funzionare, insieme “all’Ospedale della Nazione”, nel 1615 [6].

Al tempo dell’impero, sulla piazza di Sant’Eustachio e su parte di questa via  stava un ameno boschetto, che Alessandro Severo (222-235) aveva fatto sorgere nel 227, quando ricostruì le terme di Nerone. Si dice che per avere questo "nemus" (bosco), l’imperatore avesse sacrificato la sua casa privata, qui esistente.
Il "nemus thermarum" (giardino alberato) che vi aveva fatto sorgere, dava luce ad una serie di sale prospicienti ch’erano completamento ad esedre, palestre, aule, porticati che perfezionavano quelle magnifiche Terme, racchiudenti 150 colonne colossali, 2 delle quali servirono ad Alessandro VIII (Pietro Vito Ottoboni - 1655-1667) per sostituirne altre due del Pantheon, deteriorate [7].

Dice Elio Lampridio (inizi IV sec.) nel suo scritto: "Scriptores historiae Augustae” che Alessandro Severo, sulla porta della sua casa che aveva aperto al pubblico per rendervi giustizia, aveva scritto questa sentenza che si ispira al Vangelo [8]: "Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris".
Lasciò poi ai Giudei i loro privilegi ed ai cristiani la loro libertà: "Iudeis privilegia reservavit, christianos esse passus est".

____________________

[1]              Da un codice del XIV sec. si legge: “Sexta Regio Sancti Eustachii et vinee Tedemarii”. Nel Regesto Farfense è scritto: “Tedmarus, Tedimarius e Teudemarius”. Si ritiene che la vigna partisse dai margini del Circo Flaminio e raggiungesse il Satro (Il “Satro” indica la zona che va dalla Chiesa di Santa Barbara e fino a via dei Chiavari e comprende la zona del teatro di Pompeo compresa tra via di Grotta Pinta, largo del Pallaro e l´isolato che vi sta in mezzo). Su Tedemario nessuna informazione certa. Chi lo riteneva un tedesco, chi un nobile romano, altri un nobile tiburtino detto Castaldi Tedemario in un documento tiburtino del 945. Ma sin dalla fine del sec. XIV il nome Vinea Tedemarii decade e non vi si accenna più nella prima metà del XV secolo, anche in quella parte compresa poi nei rioni Pigna e S. Angelo.

[2] )            Il diritto esclusivo di creare dottori in legge era attribuito al Collegio degli avvocati concistoriali. Per la medicina era il protomedico generale a regolarne l’esercizio.

[3] )            Uso continuato fin oltre la metà del XVII sec..

[4]               Nella zona del circo agonale (piazza Navona), al monastero di Farfa fu aggiudicato: un terreno, una casa con 2 triclini, una corte, con un pozzo e parecchi alberi di fico, e un arco appoggiato ad antiche costruzioni, confinante da un lato con l’oratorio del Salvatore e, dalla parte opposta, con la via pubblica diretta alla strada papale, dal lato della chiesa di S. Benedetto.
A S. Eustachio fu attribuita la metà dell’oratorio di S. Simeone con un terreno dinanzi, un prato quadrato circoscritto dalle rovine di una casa antica fino alla detta chiesa...” .
Il clero di Sant’Eustachio ebbe a sostenere dal X sec. cause e questioni con i monaci di Farfa che rivendicavano il possesso di questi oratori e di alcune case vicine. Controversie che si ripeterono nel 1010 e poi nel 1068, a causa dei castelli di Arci e Tribuco. Un’altra lite con la chiesa dei SS Cosma e Damiano in Mica Aurea (San Cosimato), a proposito del tempio di Santa Maria in Missione presso Civitavecchia, durava ancora nel 1083, cioè da circa 100 anni.

[5] )            Tuttora  esistente insieme all’omonima Confraternita.

[6] )            Oratorio dei SS Benedetto e Scolastica, a via di Torre Argentina, appartenente ai Norcini.

[7]               Il marmo usato per la costruzione del Pantheon è estremamente friabile: si tratta del Pentelius, un marmo ricavato dai monti della Grecia che si crede fosse qui importato perché difettavano i mezzi di trasporto da Carrara a Roma. Oggi che il marmo, ad una leggera pressione della mano, si sgretola in una pioggia di schegge, si è ricorso al brevetto “Carben”. "Con una fresa dentata si buca, da parte a parte il marmo spezzato togliendone tutta la parte cattiva. Nel foro si introduce una miscela segreta e quindi un perno foderato di piombo avente alle estremità una capsula che si fa esplodere. Il piombo, così, allargandosi si ancora al marmo. L'inventore stesso, Carmine Bonedini, esegue il lavoro che sarà perfetto nelle sue conseguenze. Suoi predecessori, nel restauro di detto marmo, furono l'imperatore Adriano (117-138), Bonifacio IV (608-615) e nel 1870 un certo signor Leon Vandoyer architetto (1803-1872). Dall’adolescenza pagana del Pantheon si conservano ancora, sul timpano, dei fori ripieni di antico piombo, forse per fissare chiodi e, in uno dei fori, un grande chiodo antico, divenuto oggetto di lunghi studi da parte di eminenti archeologi.

[8] )            Catacombe di Ponziano a Monteverde.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza di Sant´Eustachio
- Chiesa di Sant´Eustachio
- Chiesa di Sant´Eustachio - Lapidi
- Via di Sant´Eustachio

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