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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via Tor de’ Specchi [1] (R. X – Campitelli) (Ora via Teatro Marcello, da piazza dell'Aracoeli a via del Foro Olitorio)

Francesco Cancellieri (1751-1826) nella "Storia de’ solenni possessi de’ Pontefici" scrive:
"Anche nei mezzi tempi sembrava ai romani di non aver modo di esprimere l'alta idea che avevano del Campidoglio, e lo descrivevano come una torre altissima, tutta d'oro, ove di notte splendeva una luce ardente che arrivava a far lumi ai naviganti, e dove era congegnato uno specchio da cui scopriva tutto ciò che si rifaceva per tutto il mondo; talmente che, se si vedeva che si tramasse insidia contro Roma, subito si impediva o vi si poneva riparo”.
"Questo specchio, tanto bene compieva quest'ufficio che popoli nemici se ne allarmarono e provvidero con l'astuzia a togliersi quell'impedimento. Mandarono a Roma un tale perché persuadesse i romani che sotto la torre magica ci fosse un immenso tesoro: Fu così che i romani, abbagliati dall'oro, scavarono tanto sotto la torre che questa rovinò, fracassando lo specchio miracoloso.".

Così ser Giovanni Fiorentino (sec. XIV) racconta l’avvenimento, chiamando “Torre del Tribuno" l’edificio tanto prossimo al Campidoglio, sul quale “erano intagliati dal lato di fuori, di metallo, tutti coloro che ebbero mai trionfo o fama; et era tenuta questa torre la più degna cosa che avesse Roma”. Dunque, scrive: “Ser Giovanni Chello et Gianni di Velletri si fingono indovini per vituperare il comune di Roma”; “Sono ricevuti alla corte di Crasso, per cui scavano certi danari, che avevan nascosti in diversi lochi. Gli dicono poi che, sotto la torre detta del Tribuno, v'è un gran tesoro. Crasso la fa mettere in puntelli ed essi ci appiccano il fuoco. Intanto si dilungano da Roma; e la mattina cade la torre, con grande uccisione dei romani".

Ora per quanto non sia storicamente provato il possesso della Torre da parte degli Specchi, è certo che questa famiglia, oltre che nel Campo Marzio, costruì vicino ai relitti del Circolo Flaminio, insieme ai Massimo, Capizucchi, Margani, Santacroce, Mattei ecc.ecc., le loro abitazioni.

Parlando della chiesa di "Santa Maria de Curte" scrive Giovanni Antonio Bruzio (1614-1692): "Santa Maria de Curte, ovvero l'Annunziata a Torre de’ Specchi dove prima era un'alta torre detta del Melangolo [2], come asseriscono le più vecchie Madri (le suore) del luogo, ivi erano le case e la torre della nobilissima famiglia dei Specchi".

E così Fioravante Martinelli (1599-1667): "Sancta Maria de Curte notatur anno 1587 infra Capitolium, post sanctam Mariam de Sole [3] (dove è ora il palazzo Massimo), eratque parochialis sub tit. S. Marci; locus nunc dicitur turris Speculorum”.

Questa chiesa di Santa Maria de Curte [4] fu data alle suore di Tor de Specchi “per ampliare la clausura", cioè alle "Madri", nominate dal Bruzio.

Sono le Oblate di Santa Francesca romana, ch’ebbero vita appunto in questa via Tor de’ Specchi (trasformata ed ingigantita in via del Mare, ora via Teatro Marcello) il 25 marzo 1433, quando nel fabbricato, che è tuttora in essere, si radunarono, per dedicarsi ad opere di bene,7 nubili e 3 vedove, sotto la guida di Francesca Bussa, la moglie allora di Lorenzo Ponziani.
Ma rimasta vedova l’anno seguente, vi andò anche lei a dimorare finché, dopo quattro anni, nella sua casa [5], dov’erasi recata a visitare il figlio infermo, morì.

Sepolta nella chiesa di Santa Maria Nova [6], che diventò Santa Francesca Romana [7] (Foro Romano), le fu eretto, a opera del Bernini, a destra del presbitero, un sepolcro non lontano da quello che fu fatto innalzare dal popolo romano a Gregorio XI  (Pierre Roger de Beaufort - 1370-1378),  il papa  che da Avignone ricondusse la sede apostolica a Roma (1371) [8].

Le Oblate, fondate da Santa Francesca, dette le monache di Tor de’ Specchi, abitano da cinque secoli il locale scelto dalla loro fondatrice, il quale ha ancora la cella da lei abitata, l’oratorio e gli affreschi del tempo [9].

Davanti al convento [10] prima dell’allargamento della strada, v’era una caratteristica piazzetta [11]; dove, fin quasi al termine del XIX secolo, sostavano gli scrivani pubblici, con l’ombrellone che ombreggiava il loro tavolino, sul quale scrivevano suppliche, istanze, lettere famigliari ed amorose per i clienti che affluivano dalla vicina piazza Montanara.

Unico, e forse l’ultimo di una dinastia artigiana, in un angolo della piazza, operava il barbiere "della meluccia", chiamato così dal popolo perché, come i suoi avi, forse adoperava ancora una piccola mela, che, introdotta nella bocca del cliente ne riempiva le gote, distendendone la pelle e facilitando così a lui la rasatura.
La sera, l’ultimo cliente poteva, a fine esercizio, mangiarsi la mela.

La piazzetta, di fronte al convento delle monache, aveva uno stretto vicolo, chiuso in fondo da quella che era allora creduta la Rupe Tarpea.

Sottostante alla Rupe, nel 1924, in certe grotte, fu ricavata una "caupona antiqua" (osteria) ed una lapide all’ingresso diceva: "In questi paraggi, ove per il suo tradimento la venale vergine Tarpeia fu abbattuta e coperta dagli scudi ed dai bracciali dei soldati Sabini, il probo oste Terenzio, aperta una taverna, con grande fortuna, vi mesce squisiti vini, per la gioia dei romani e dei barbari".

La taberna, per la costruzione della via del Mare, ha traslocato in via Veneto nel 1930, col nome di "Grotte d’Enotria" [12] e tutt’ora vi risiede al n.13 (ora non piú-2017).

Sulla via Tor de’ Specchi erano pure due chiese:  San Niccolò de Funariis e  Sant´Andrea in Vincis

La prima stava sull’angolo col vicolo che portava alla suddetta Rupe, e da San Niccolò de Funariis s’era chiamata poi Santa Orsola a Tor de’ Specchi.
Assai antica, conservava un’epigrafe dell’anno 1180 nella quale è ricordata la consacrazione di un altare di San Niccolò, sotto Alessandro III [13] (Ronaldo Bandinelli - 1159-1181).
Nel 1660, la chiesa appartenne alla confraternita di Sant’Orsola, che le conferì il nuovo appellativo e, sotto Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799), passò ai preti secolari "del sussidio ecclesiastico”.

L’altra che era quasi di fronte alla via che porta a Piazza Campitelli [14] era stata riedificata nel 1572.
L’antica, era ad un livello assai più profondo, tanto che si trova scritto che: "il pavimento della moderna chiesa potrebbe dirsi in oggi la soffitta della chiesa vecchia".
Fu detta "Santa Andrea in Vincis", "de Funaris" e "in Matuta", forse dal tempio della dea, nel Foro Boario [15], incendiatosi nel 195 a.Ch. e, secondo Livio, riedificato l’anno seguente.
L’archivio dell’arciconfraternita degli Scalpellini e Scultori, cui apparteneva dal 1662, conservava pregevoli documenti.
Da uno di essi risulta che, durante alcuni lavori, fatti nel 1762, si trovò, "alla profondità di 12 palmi sotto l'altare, una camera sotterranea adorna di pitture assai antiche".
Vi furono trovati vicino ad un chiusino, dopo aperto, "tre cadaveri" ed il ricognitore nella sua relazione fa riferimento ad uno scritto del 1550 che dice: "Et ubi ex voto Victoriae partae de Sabinis, Iovi Statori a Romulo fuit aedificatum Fanum. Sancti Andreae nomine aliud est, cum multis martyrum cadaveribus qui pro fide Christi valide certarunt".

Oggi all’angolo di questa strada per Campitelli [16], è stata ricostruita (1940) la chiesa di Santa Rita che stava presso la scala dell’Aracoeli e che si chiamava prima S. Biagio "de Mercatello" o "de piede Mercati", perché nel secolo XI la piazza del mercato di Roma (se ne ha notizia fin dagli inizi del secolo XII) si stendeva dalla collina del Campidoglio fino a questa chiesa e a quella vicina di S. Giovanni in Mercatello (poi di S. Venanzio dei Camerinesi [17]). Il mercato restò fino al 1477, quando, sotto Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484), fu trasferito a piazza Navona [18].
La chiesa di San Biagio (o di S. Rita), fondata dalla famiglia Buccabella nel XII secolo, fu demolita nel 1927, per essere poi ricostruita (1940).
In quell’occasione, furono rinvenuti i resti della chiesa medievale.

Vennero così fuori una parte del campanile del secolo XIII ed un arcosolio (sec. XIV) con un affresco rappresentante Cristo nel sarcofago tra la Madonna e San Giovanni. Si trovò che la chiesetta era inserita in un’insula” romana [19] di buona età imperiale, che conserva  (caso unico a Roma) quattro piani sovrapposti, oltre i resti di altri due più rovinati [20], con una bella facciata ad arcate e finestre, simile alle nostre case moderne; la facciata dava su di un cortile selciato che girava su almeno tre lati.
Sopra il piano terreno, adibito a botteghe, (sotto l’attuale piano stradale) corre un ballatoio sospeso su mensole di travertino, secondo l’uso Romano; la parete di appoggio alla roccia è in "opus reticolatum”, piuttosto irregolare, mentre il rimanente dei muri è in opera laterizia del II secolo dell’impero.
I vari piani sono riuniti da una scala interna, con le stanze ben disposte e ben arieggiate mediante bifore e trifore, e adorne con pitture di cui si notano tracce svanite. Le finestre venivano chiuse da lastre di mica e di selenite e da imposte (Vitruvio, Insula, II, 8, 17).

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[1] )            Adesso via del Teatro di Marcello, già via del Mare.

[2] )            Tre torri a Roma dette del "Melangolo", oltre quella della quale abbiamo già parlato, 1a seconda è quella dove alloggiò Santo Ignazio, "mettea cantone tra Santa Caterina dei Funari e Piazza Margana" e la terza presso le case degli Astalli, vicino a Santo Stefano del Cacco.

[3] )            La chiesa occupava l’antico tempio di Ercole al Foro Boario ed aveva preso il titolo da una dedica Mitriaca: "Deo soli invicto Mithrae”.

[4] )            Santa Maria de Curte è nominata nei regesti (raccolta di documenti riportata in riassunto) di Clemente VI (Pierre Roger - 1342-1352).

[5] )            Prossima a Santa Maria in Cappella (Trastevere - vedi) era la casa dei Ponziani, in via Sant'Andrea de’ Scafi (oggi via dei Vascellari - vedi - Trastevere).

[6] )            Vi si conserva la pietra dove sarebbe precipitato Simon Mago e vi è stato sepolto Gregorio XI.

[7] )            "A dì 2 aprile 1628 fu scoperto il corpo di Santa Francesca Romana, sepolto a pié delli scalini dell'altare  maggiore, per il traverso. Fu trovato per opera del signor Mario Gabrielli, il quale con i suoi denari lo fece cercare, essendo passati dopo la sua morte 188 anni finiti alli 9 marzo". (Diario Gigli).

[8] )            La chiesa esisteva fin dai primi del secolo VIII (di traverso a San Pietro e Paolo in Silice, il piccolo santuario annidato nel portico del tempio di Venere e Roma).
La Chiesa cambiò il nome di "Santa Maria Antiqua" in "Santa Maria Nova" quando, dopo il restauro di Giovanni VII  (705-707), fu distrutta (705) da un incendio e riedificata da Niccolò I (858-867).
Il piano inferiore del Chiostro ha un lato con colonne e capitelli a stampella (prima metà del XIII sec.) e altri tre a pilastrini con archi a sesto ribassato (fine secolo XIV e principio secolo XV), il superiore con pilastrini portanti arcate a tutto sesto (secolo XV). Dice il Vacca: "Nel suddetto Monastero verso il Coliseo  si vede un gran Nicchione, sotto del quale cavandosi si trovò una platea di marmi salini, cosa stupenda, larghi 13 palmi, 9 lunghi, e 3 alti. Io ne comperai certi per segarli e farne lapide". Attualmente, il 9 marzo, viene impartita la benedizione degli automezzi che, prima del 1927, avveniva davanti alla chiesa di Sant’Antonio (vedi Piazza di Santa Maria Maggiore - Monti).

[9] )            Caratteristici sono una specie di arazzi in paglia, acquistati dalla superiora Maria Amadei (XVII-XVIII sec.) per decorare la cappella del sepolcro nel Giovedì Santo.

[10] )           Prossimo all’ingresso del convento, fra i numeri 32 e 30, un portico medievale murato. Si vede una colonna di epoca romana con capitello ionico ed il davanzale.

[11] )           Dov’era stata la villa dei Pincii (al Pincio), costruita sui giardini degli Acilii, di Lucullo e Valerio Asiatico e che fu anche dei Domizi, fu trovata, secondo una leggenda medievale, l’urna che aveva contenuto le ceneri di Nerone. L’urna fu poi adoperata per la misurazione del sale, “in mercatello” ai piedi del Campidoglio.

[12] )           La taberna, già chiamata “Tarpea”, traslocò nel quartiere Ludovisi, i cui lavori erano cominciati nel 1895.

[13] )           Il Papa della lega Lombarda, Alessandro IV (Rinaldo di Jenne - 1254-1261) che a Venezia, quando il Barbarossa gli si inginocchiò davanti per baciargli il piede, si dice glielo poggiasse sul capo dicendo " Super aspide et basiliscum ambulabis et conculcabis leonem et draconem". Alla precisazione dell’imperatore: "Non a te, ma a Pietro mi prostro"; Alessandro III avrebbe replicato: "A me ed a Pietro". Con la costituzione "licet vitanda” del 1179 stabilì che soltanto il Sacro Collegio dei Cardinali era idoneo ad eleggere il Papa. Mentre Nicola II nel 1059, con la bolla "in nomine Domini" aveva stabilito che soltanto cardinali e vescovi potevano eleggere il Sommo Pontefice.

[14] )           In pochi anni ha cambiato nome tre volte; per ora è via Montanara.

[15] )           Vedi “Piazza della Bocca della Verità” (Ripa).

[16] )           Vedi “Piazza e via Montanara” (Campitelli).

[17] )           Vedi “Piazza Venezia” (Trevi).

[18] )           Il mercato fu trasferito per ordine del cardinale camerlengo d’Estouteville, dove restò fino al 16 ottobre 1869 quando con "Notificazione” del senatore Cavalletti fu definitivamente trasferito a Campo di Fiori.

[19] )           L’“insula” conteneva molti appartamenti (caenacula), oltre alle cantine, alle soffitte e alle taverne con ingressi propri. Negli appartamenti erano usati, per aumentare i vani, soppalchi di legno (pergulae) (Suet. Oct. 94; Sera. Equest. 122,8). Per guadagnare spazio si usavano anche pareti di legno (Plut., Crass 2; Sen. Controv. II, 9). Gli ultimi piani erano spesso sopraelevazioni lignee. Le condizioni delle abitazioni erano perciò precarie; ma in realtà una buona parte delle "insule" dovette avere un aspetto relativamente decoroso. In Ostia, ed in parte in Roma, non solo nella "Formas Urbis", ma anche in esempi conservati, si distinguono vari tipi di “insule": case con stanze disposte solo lungo la facciata (il piano terreno è costituito da una fila di taverne, o anche due file) tale era la casa sotto Sant'Anastasia (Vedi “via di San Teodoro - Campitelli) e forse anche quella sotto la chiesa dei santi Giovanni e Paolo (Vedi “Piazza e via di San Giovanni e Paolo” - Monti) e quella di fronte alla tomba degli Scipioni (II sec. d.C.); inoltre le case rappresentate nei frammenti 170 e 175 della " Formas Urbis"; un tipo poi di “casa per tutti", caseggiato di grandi proporzioni per appartamenti disposti sia sulla facciata che sul cortile; di questo tipo la casa scavata in via Nazionale (II sec. d.C.) e quella in questione; e così il vasto fabbricato rinvenuto sotto la galleria Colonna e infine le case rappresentate nei frammenti 176 e 177 della "Formas Urbis".

[20] )           L’urbanesimo, accresciutosi nell’ultimo secolo della Repubblica, aveva esasperato la ricerca di alloggi, e gli speculatori (il triunviro Crasso ne fu il massimo esponente) sfruttarono all’estremo le aree, costruendo "insule" dai 6 ai 10 piani. Fu Augusto che, con la sua autorità dittatoriale, limitò l’altezza delle case a 21 m. Cessò così lo sconcio di questi alveari umani, situati in gran parte in luoghi privi di luce e di aria, in piccole strade, dai tre ai 5 m. Traiano ridusse (98-117) a 18 m l’altezza delle insule, ma già sotto Settimio Severo (193-211) l’insula “Insula Felice" prossima al Pantheon sorpassava le misure prescritte ed era il grattacielo dell’Urbe. Nel IV secolo, una statistica enumera ben 46.000 insule e circa  1600 domus, dentro la città.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Via Tor de´ Specchi (Via del Teatro Marcello)
- Via della Tribuna di Tor de´ Specchi
- Monastero delle Orsoline a Tor de´ Specchi

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