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STRADE DELLA ROMA PAPALE

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Papa Eugenio IV (Gabriele Condulmer – 1431-1447), nel 1433, aveva concesso, a quella compagnia di donne laiche, il suo permesso per «abitare insieme in qualche casa in questa città che fosse adatta e conveniente allo scopo, di mettere in comune tutti i beni, che Dio aveva dati loro, e con questi di vivere in comune e in carità sotto l’obbedienza di una di loro, che esse giudicassero adatta a questo compito e che eleggessero nel tempo opportuno».
Nel luglio del 1439, il monastero olivetano di Santa Maria Nova (poi Santa Francesca Romana), cui le oblate di Francesca Romana, così come la loro fondatrice, si erano legate, dette la sua approvazione, non senza difficoltà, per gli statuti olivetani che non consentivano l’assistenza dell’Ordine Benedettino a conventi di suore consacrate. Alla fine aveva prevalso il concetto che la Confraternita non era formata da suore, ma da donne che liberamente, senza aver pubblicamente espresso nessun voto (voto semplice), si erano riunite per vivere in povertà, castità ed obbedienza.
Le dieci compagne iniziali si riunirono, dal 1433, nella casa in affitto (in precedenza 1425-1433 avevano vissuto ognuna presso la propria famiglia), mentre Francesca Romana le raggiunse dopo la morte di suo marito, Lorenzo Ponziani, nel 1436.
Dal 1435 al 1437, la stessa Francesca Ponziani ricevette  in dono dai monaci olivetani e da una devota, donna Caterina vedova di Pier Paolo Canetti, pezzi di quell’isolato oggi occupato dal convento delle oblate di Santa Francesca.
Dopo la morte della Santa (1440), nel 1443, Agnese di Paolo Lelli, nuova presidente delle oblate, acquistò quanto restava dell’isolato e nel 1444, le oblate riscattarono la casa con torre, che era stata il primo nucleo del monastero, dalla famiglia Clarelli.
Sono di questo periodo gli affreschi, ancora conservati, nell’oratorio (Chiesa vecchia) di Antoniozzo Romano (c.1430-1508) sulla vita di Francesca Romana, portati a termine entro il 1468, mentre nel refettorio antico furono dipinti, da anonimo, dieci quadri che narrano la lotta della Santa contro il demonio.
Nel 1594, le oblate ebbero in uso la chiesa di Santa Maria de Curtis, perché l’oratorio, che era nella casa iniziale, era divenuto esiguo rispetto all’importante sviluppo della Compagnia in quel periodo.
Maggiori esigenze di spazio, non solo in campo liturgico, portarono alla ristrutturazione dell’insieme del monastero, che era rimasto, fino ad allora,  un agglomerato tipicamente medievale. Non ancora recintato, esso costituiva un quartiere di beghinaggio nel quartiere cittadino.
Dal 1606 al 1616, si svolsero i lavori di ristrutturazione del monastero e di ricostruzione della chiesa di Santa Maria de Curtis (non più parrocchia che passò a Santa Maria in Portico). La nuova chiesa fu dedicata a Santa Maria Annunziata a Tor de´ Specchi e fu ricostruita invertendone l’orientamento, cioè ponendo l’abside verso via della Tribuna di Tor de´ Specchi e l’ingresso verso  l’interno del monastero a suo completo beneficio. Anche perché, in conseguenza dei principi emanati dal Concilio di Trento (1545-1563), il convento fu, in quest’occasione, chiuso da un muro che lo isolò dall’abitato circostante.
Il monastero fu arricchito da un refettorio, prospicente il nuovo portico, in stile barocco, probabilmente opera di Carlo Maderno (1556-1629), mentre le celle delle oblate furono poste sui lati Est e Nord.
La specificità della Compagnia delle Oblate era di essere composta da donne obbedienti ad una serie di regole di vita, senza pronunciamento di pubblici voti, ed aveva la completa autonomia amministrativa e giuridica del monastero.
Quando, nel 1873, il governo italiano espropriò il monastero, il ricorso della presidente, Maria Luisa Canonici, venne accolto e definitivamente confermato dalla Cassazione ed aveva permesso alle oblate di reintegrare il monastero perché suore laiche (non consacrate), fino ai giorni nostri.

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