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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza del Campidoglio  (R. X – Campitelli) (Vi convergono via del Campidoglio, via di San Pietro in Carcere, via delle Tre Pile)

Per la sistemazione della Piazza concepita da Michelangelo e per la realizzazione dei suoi disegni occorse un lungo periodo di tempo. Dalla prima metà del XVI secolo si protrasse per tutto il XVII ed il Campidoglio ebbe il compimento dei suoi palazzi nel secolo XVIII; ma la pavimentazione della piazza, tale quale l’aveva ideata il Sommo, fu realizzata solo nel 1940 [1], dopo che il Governo fascista era riuscito ad isolare il colle dalle casette, stamberghe e abituri che gli si erano abbarbicati, attraverso i secoli.

La piazza irregolare scoscesa, fino alla seconda metà del 500, fu livellata e Michelangelo, già cittadino dell’Urbe dal 10 dicembre 1537, fu incaricato della sua sistemazione [2].

Egli non pensò di mutare grandezza e proporzione degli edifici, che chiudevano da due lati la piazza, ma volle completarne l’armonica disposizione con un terzo lato che, di fronte al Palazzo dei Conservatori [3] (successori dei medievali Banderesi [4]) coprisse il fianco del colle sul quale Santa Maria in Aracoeli (vedi piazza dell’Ara Coeli - Campitelli)  ha preso il posto dell’antico tempio di Giunone Moneta.

Al medioevale palazzo senatorio [5] egli dette l’ampia scalea a due rampanti, coronata da una balaustra, ed in basso pose le due fontane con in mezzo la statua di un maestoso Giove Capitolino, che restò solo sul disegno, giacché al suo posto fu invece collocata una statua di Minerva, prelevata da un tempio di Cori e trasformata in una dea Roma.

Alla morte del Buonarroti, altri artisti concorsero alla realizzazione del suo progetto: così Giacomo Della Porta (1539-1602), Giacomo Del Duca (1520-1601) Girolamo Rainaldi (1570-1655), Tommaso dei Cavalieri (XVI), Martino Longhi il Vecchio (+ 1607) ecc..

Il 17 giugno 1849, l’Assemblea della Repubblica Romana, guidata da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi, decise di spostarsi dal palazzo della Cancelleria al palazzo Senatorio, lontano dai tiri dell’artiglieria francese.
Nel Palazzo Senatorio, fu promulgata la Costituzione Repubblicana, come ultimo atto di quell’Assemblea, il 3 luglio 1849.

La monumentale cordonata fu iniziata dal Della Porta nel 1577 completata poi con una balaustra, sulla quale furono posti i due gruppi equestri dei Dioscuri, provenienti dal Teatro di Balbo (oggi si crede lo Stadio Flaminio) e trovati nel XV secolo nel Ghetto, nella costruzione della vecchia sinagoga.
Ai lati di Castore e Polluce, figurano i cosiddetti Trofei di Mario [6], le statue di Costantino e di suo figlio provenienti dalla Basilica sulla via Sacra e le due “colonne miliaridel primo miglio e del settimo della via Appia Antica, ambedue con epigrafi di Nerva e Vespasiano.

Il pavimento della piazza, che in un’incisione del 1569 figura per un’area rotonda, ha un motivo a rombi irregolari che dalla periferia vanno sempre più impiccolendosi formati da fasce di travertino che, prospettivamente, si restringono avvicinandosi al centro, dove un motivo a stella gira intorno al basamento della statua equestre di Marco Aurelio (Ceccarius)

Fu per suggerimento di Michelangelo che questa statua, già sul piazzale del Laterano, nonostante le proteste dei canonici, fu trasportata, nel 1538, in Campidoglio da Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1549) e collocata al centro della piazza.

E dice Michele Biancale (1878-1961), riferendosi alla credenza che il Buonarroti abbia voluto, con questa collocazione, ricordare che il Campidoglio è il “caput mundi”, mostrando, col pavimento leggermente convesso, di esser parte della circonferenza del globo terraqueo: “L’imperatore con la sua ombra, inizia, come l’indice acuto di una grande meridiana, a segnare il transito commisurato del tempo sull’elissi e sulle losanghe [7] di quel pavimento..."

Una figura di barbaro debellato serviva da sostegno al gruppo bronzeo sotto la zampa sollevata del cavallo ma, scomparso questo, il tempo e le intemperie causarono qualche danno al monumento. Se ne ha un ricordo in una poesia di Giuseppe Gioacchino Belli del 1 novembre 1835, nella quale racconta l’opera già svolta  dal  Commissario delle antichità di quel tempo, l’abate Carlo Fea (1753-1836):

“E ddàiiela cor trotta e cor galoppa!
Io v’aritorno a ddì ppatron Cornelio,
Cher famoso caval de Marc’Urelio
Un antro po’ ccasca de quarto e schioppa

Er zor Don Carlo Fea [8], iieri, e non celio
Ce stava sopra a ccianche larghe in groppa
E strillava: si cquà nnun z’arittoppa
Se va a ffa bbudellà ccom’un vangelio.

L’abbate aveva in mano un negroscopio
E sseguitava a urlà ppien de cordoiio:
Cqua cc’è acqua, per bio! Questo è rritropico.

Disce inzomma, che l’unica speranza
De sarvà Mmarc’Urelio in Campidoglio
È er faiie ‘na parentisi a la panza.

Dalla cordonata monumentale del Della Porta  sono adesso scomparse le due gabbie che rinchiudevano gli animali del mito cittadino, le Aquile e la Lupa [9].
Collocate lì dopo il 1870, avevano sostituito il Leone, che nel medioevo era tenuto vivo in una gabbia, pure sul Campidoglio, quale raffigurazione di Roma che, allora, si riteneva avesse nel suo profilo topografico la forma del Leone [10], ed anche come simbolo della nobile fierezza e fortezza dell’allora Repubblica Romana.

Il Leone, riprodotto anche col suo leoncino, in pittura, sopra un portone del palazzo senatorio, veniva ritualmente visitato da ogni senatore dell’Urbe quando iniziava il suo governo. E questo perché potessero ispirarlo alla magnanimità i distici scritti sotto quella figura:
Fratus reccole quod nobilis ira leonis in sibi prostatos se negat esse feram”.

Era un po’ il “debellare superbos et parcere subyectis” degli antichi, ma è certo che in quel posto la magnanimità era poco esercitata... Infatti nel sito detto “dello lione”, vi venivano di diritto decapitati i nobili [11], rei di qualche delitto [12].

Oggi le gabbie della melanconica lupa e quelle delle aquile nostalgiche sono addossate al colle capitolino [13], nel lato di via del Teatro Marcello, ma i loro inquilini hanno tutta l’aria di ripetere quel dialoghetto che Trilussa ci ha raccontato:

“L’antra matina l’Aquila romana
che ce ricorda, chiusa ne la gabbia,
le vittorie d’un epoca lontana,
disse a la Lupa: Scusa,
ma a te nun te fà rabbia
de sta’ sempre rinchiusa?
Io, francamente, nu’ ne posso più!
Quanno volavo io! Vedevo er monno!
M’avvicinavo ar Sole! Invece, adesso,
così incastrata come m’hanno messo,
che vôi che veda? L’ossa de tu nonno?
Quanno provo a volà trovo un’intoppo,
più su d’un metro nun arrivo mai...
La Lupa disse: É un volo basso assai
Ma pe’ l’idee moderne è pure troppo!
É meio che t’accicci e stai tranquilla:
nun c’è che l’animale forestiere
che viè trattato come un cavaiere
e se gode la pacchia d’una villa!
L’urtimo Pappagallo de la Mecca,
appena arriva quà, se mette in mostra,
arza le penne e dice: Roma nostra...
e quer che trova becca.
Viva dunque la Scimmia der Brasile!
Viva la Sorca isterica
Che arriva dall’America!
Noiantri? Semo bestie da cortile.
Pur’io và là, ciò fatto un ber guadagno
A fa la balia a Romolo! Accicoria!
Se avessi da rifà la stessa storia
Invece d’allattallo me lo magno!

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[1] )            Roma aeterna ! Dice il Vacca (1538-1600): “Mi ricordo da pueritia haver visto come una voragine sopra la Piazza di Campidoglio, et alcuni, che vi entravano, nell’uscire dicevano esservi una femmina a cavallo a un toro...”.

[2] )            Sulla base delle nuove testimonianze d’archivio il primo intervento Michelangiolesco risalirebbe al 1539 (sistemazione di Marco Aurelio). Il secondo, per la sistemazione del palazzo Senatorio e la creazione della scala, al 1544. L’ultimo definitivo al 1562, quando il Sommo delineò compiutamente la sua idea, che ebbe poi nel tempo quell’attuazione che oggi si vede nella piazza sistemata. E nella realizzazione della parte ultima del progetto di Michelangelo si rivela il lavoro, anche di dettaglio, di Giacomo Della Porta e degli altri architetti già impegnati nell’erezione del Campidoglio ed in particolare di Tommaso de’ Cavalieri.

[3] )            Palazzo dei Conservatori in Campidoglio - Sul fianco sinistro della gradinata che porta ai portici, detti del Vignola, sulle finestre: Una statuetta in una nicchia; epigrafe: “Universitas Albergatorum”; altre: "Hic est Consul murator" e "universitas sutorum"; e poi emblemi dell'arte muraria, targa con scolpite le effigie di San Pietro e San Paolo e un paio di forbici; tre lastre marmoree con scolpiti in una due stemmi ed una croce, in una seconda una ronca ed altri arnesi, ed in una terza emblemi dell’arte muraria.

[4] )            Apparitores o Banderesi - Il nome di "apparitores" dato dai romani ai messi ed alle guardie del corpo: "apparitores Regi", venne nell’alto medioevo traslato ai mandatari o cursori della curia. Ma, dice l’Adinolfi (XIX sec.), in relazione all’origine del nome Parione dato alla sesta regione di Roma: "Ponendo gli occhi addosso alla insegna di questo Rione, che porta una testa di drago o grifo, parmi piuttosto di ravvisarvi la immagine del drago che portavano sull'elmo i così detti "milites dragorarii", i quali precedevano nella pompa pontificia il Papa quando portavasi in alcune solennità da un luogo all'altro e sostenendo le dodici (o tredici) bandiere o vessilli regionali che avevano la denominazione di Bandiere, e perciò da Cencio il Camerlengo (XII-XIII sec.) chiamati "Bandelari" (più tardi Banderesi).
"Tra i quali vessilli, mostrando anche il proprio, ed avendo la dimora fissa in questo Rione, dalla loro orrevole vista può essere venuto il soprannome di "apparitores” o “Pariones" alla contrada”.
Ora questi "Bandelari" o "Banderesi" erano quei dodici che nel 1741 erano succeduti ai più antichi "decarconali" che verso la metà del X secolo così ripartivano l’Urbe. L’unico monumento che si conservi a Roma dei "Banderesi" è una rozza scultura (XIII sec.) posta sul cippo sepolcrale di Agrippina.
Rappresenta un "pavesato" ed una "balestra" con in mezzo lo stemma di Roma e, sotto le figure, sono collocati tre stemmi familiari e due bandiere con l'immagine di un "pavesato" e di una "balestra" ciascuna.
Sulla scultura è scritto: "Rugitella de grano” che significa una misura di grano (Rubbiatella pari a  300 libbre).
I “Banderesi" risiedevano nell’antico palazzo dei Conservatori in Campidoglio.
Da tener presente, per la ripartizione dell’Urbe, che con l’XI secolo era cessata ogni memoria dell’antica ripartizione, tanto augustea, quanto ecclesiastica. Comincia allora "ad apparire l'embrione di una ripartizione nuova, la quale, se topograficamente non ha nulla a che fare colla ecclesiastica e con la civile, si riannoda però a quest'ultima mediante un evidentissimo vincolo di tradizione storica". Se, fino al X secolo, restò ufficialmente l’antica divisione, pure nei documenti archiviati non si indicano più regioni ma località, che si fanno ascendere fino a ventisei.
Per le modificazioni dell’amministrazione municipale, si ebbero allora dieci regioni, che si fusero così le regioni civili ed ecclesiastiche, e le chiese furono divise in altro modo. Nei secoli XII e XIII si trovano ricordate la "prima partita", la "seconda partita” ecc.", cui doveva corrispondere un clero speciale; ma questa divisione durò soltanto nel Medio Evo.
Fu appunto alla fine del X secolo che scomparvero, nella vita romana del tempo, i "consules", amministratori civici, da non confondersi con i "Consules et Duces" e con i "Consules Romanorum” (diciamo così politico-militari derivati nel Medio Evo da quelli dell’antica Roma), e si affacciano invece, poco più tardi i consoli, presidenti, delle diverse arti.
La prima menzione documentaria di una corporazione romana risale al 1088, ma certamente l’istituzione delle corporazioni è anteriore.
Queste particolari associazioni di mestieri presero il nome d’Università, perché comprendevano altri sodalizi affini e, codificate le consuetudini che le reggevano, riuscirono con la loro coesione ad insinuarsi come terzo importantissimo elemento, nelle lotte per l’autonomia comunale che si combattevano secolarmente fra le rivendicazioni del papato e la prepotenza baronale. Verso la metà del XIII secolo (rennovatio senatus) questa democrazia era tanto forte che fu in grado di chiamare a Roma e nominare Senatore: Brancaleone degli Andali da Bologna (1252) che nel 1253 costrinse Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi  - 1243-1254) a tornare a Roma da Assisi, dove si era rifugiato: "ut , decuit, susceptus est cum honore, sic iubente et volente senatore".
Fino al ritorno dei papi da Avignone, il Senatore di Roma esercitò una incontestata autorità, ma le lotte acuitesi sotto Innocenzo VII (Cosma Migliorati - 1404-1406) culminarono nella nomina, che fece Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) di un Governatore di Roma in temporalibus, fiancheggiandolo con due marescialli e riunendo poi tutte le loro attribuzioni di governo nelle mani del Cardinale Camerario.
Più tardi il governo della città tornò al senatore, ma con carica puramente rappresentativa, essendo il potere effettivamente nelle mani di Monsignor Governatore di Roma.
Mentre prima il senatore restava in carica solo sei mesi, in seguito governò per un anno e solo dal 1655 fu eletto a vita.

[5] )            In una pianta iconografica del tempo di Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216) il palazzo senatorio appare come un quadrato merlato con una torre laterale: la fronte mostra solo due finestre ad arco ed una porta d’ingresso senza scala. Nel 1299 il palazzo rinnovato ebbe una sala su colonne per le sedute dette “lovium”, parola longobarda che indicava un “porticus”.  Altre costruzioni abbellirono il palazzo fra le quali una scala senza appoggi, raffigurata nella bolla del 1328 di Ludovico il Bavaro. In quale forma poi fosse a quei tempi rappresentato da una tradizione di fantasia sbrigliata il Campidoglio dei romani, ce lo dicono le “Mirabilia Urbis Romae” del 1130: "Capitolium ha nome perché era il capo (caput) di tutto il mondo e vi dimoravano i consoli ed i senatori per governare la città e il mondo. La sua facciata era coperta di mura alte e forti, rivestite di vetro e d’oro, di opere mirabilmente intarsiate. Nella rocca era un palazzo per la massima parte in oro, e adorno di gemme, che sarebbe bastato da solo a comprare la terza parte del mondo; e là erano tante statue, quante sono le province del mondo, e ciascuna aveva un campanello appeso al collo. Arte magica aveva fatto sì che, se una qualche regione nell’impero romano si ribellava, subito il suo simulacro mutava di fronte; allora suonava il campanello che la statua aveva al collo, e degli ispettori del Campidoglio, che facevano là da guardiani, ne riferivano al senato... Là erano anche parecchi templi, ed in vero nell’alto della rocca, sulla “porticus Crinorum” s’ergeva il tempio di Giove e della Moneta, e dalla parte del Foro, il tempio di Vesta e di Cesare: e là si conservava la cattedra dei pontefici pagani, su cui i senatori facevano veder Giulio Cesare, seduto il sesto giorno del mese di marzo. Dall’altra parte del Campidoglio, sulla “Cannapara” che era il tempio di Giunone, e non lontano il forum pubblico di Ercole: nel Tarpeio v’era il tempio dell’Asilo, in cui Giulio Cesare fu trucidato dai senatori. Dove è ora Santa Maria (in Aracoeli) esistevano due templi uniti ad un palazzo: erano dedicati a Febo ed a Carmenta e là era apparsa ad Ottaviano imperatore la visione del cielo: presso la Carmelaria sta il tempio di Giano, che era il guardiano del Campidoglio. Aureo Campidoglio si diceva perché su tutti gli altri imperi del mondo per sapienza e per bellezza splendeva”. (Liber de mirabilibus Romae del XII sec.).

[6] )            Provenienti dalla mostra dell’acqua Giulia in Piazza Vittorio Emanuele.

[7] )            Le losanghe adattate all’attuale forma ellittica della piazza.

[8] )            Prima che l’abate Carlo Fea (1753-1834) iniziasse, nel 1810, gli scavi regolari del Foro Romano  presso la colonna di Foca, su di esso pascolavano allora le mandrie dei buoi e vi stazionavano i carri che venivano in città dall’agro romano (Campo Vaccino). La stessa colonna di Foca serviva per legarci i cavalli, ed una doppia fila di olmi formava un viale che andava dall’arco di Settimio Severo a quello di Tito, mentre misere catapecchie si addossavano alle pendici del Campidoglio, al tempio di Saturno, alla Curia e al tempio di Antonino e Faustina. (Nel campo vaccino vi fu alloggiata anche una polveriera che diroccò il 4 novembre 1684 “con danno di sopra 10 scudi”). Erano stati attribuiti cervelloticamente a Giove tonante il tempio di Vespasiano e Tito, il Tempio della Pace quello di Massenzio e così la Curia era ritenuta la Basilica Emilia, e il Tempio dei Dioscuri identificato per la Graecostasis e la basilica di Giulia spostata avanti a S. Teodoro nella strada omonima. Mentre la Curia era stata riconosciuta nei ruderi ai piedi del Palatino, dietro la chiesa di Santa Maria Liberatrice e la chiesa di S. Teodoro era creduta il tempio di Vesta, per la sua forma rotonda. Contemporaneamente ai lavori di scavo, si curavano quelli di restauro, così le tre colonne angolari del tempio di Vespasiano, tolta la terra dalla quale affioravano e trovate a appoggiare sopra un basamento rovinoso, furono tra il 1810 e il 1813 demolite e ricostruite su nuove basi dagli architetti Valadier e Camporesi, per ordine del regnante Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823), che si dedicò a visitare i lavori del Foro il 22 febbraio 1817. Il Fea aprì pure due larghe trincee che lo condussero, una al carcere Mamertino e l’altra al basamento del tempio di Saturno, privo del rivestimento marmoreo, e per la prima volta vennero alla luce i selcioni della via Sacra. Nel 1827 e poi nel 1834 fu continuata l’esplorazione del Tempio, seguita da saggi esplorativi fra l’arco di Tito e il tempio di Venere e Roma, dopo aver demolite la serie di fortificazioni costruitevi nel medioevo dai Frangipane, e l’arco fu restaurato dal Valadier. Per l’arco di Settimio Severo, dice il Diario Pila della Casanatese: “luglio 1803 - Si cominciò lo scavo attorno all’arco di Settimio Severo al Foro Romano per scoprirlo totalmente”.

[9] )            La deliberazione fu presa nella seduta del 28 agosto 1872 sotto la presidenza del facente funzioni di sindaco Pietro Venturi. Dice il verbale: “Sia posta nel giardino del Campidoglio in apposito casotto una lupa vivente come emblema di Roma, e sia portata nel preventivo del futuro esercizio la spesa del relativo mantenimento di lire 22,50 mensili” (deliberazione 52.630). Nacque subito la pasquinata:

“In Campidoglio
tutto è qual fu
sol v’è una classica
bestia in più”.

[10] )          Roma è così rappresentata nel « liber historiarum Romanorum », codice del XIII sec.

[11] )          Se il patrizio condannato a morte non veniva catturato, la sua effigie era dipinta con parole d’infamia nel muro « sopra la finestra a croce che sta nel torrione verso l’Aracoeli, nella facciata della piazza ».

[12] )          Gli altri cittadini venivano giustiziati nella località detta « ad furcas et locum iustitiae » dove era stata, per un lascito di due fiorini d’oro fatto da un condannato, “penta in una costa di muro appresso Santa Maria delle Grazie” una immagine di Maria. Circa il 1550 le forche furono trasferite a Piazza Giudea da Monte Caprino (ad furcas).

[13] )           Il primo animale che fu trattenuto sul Campidoglio, simbolo della grandezza di Roma, fu il Leone, fino al 1414, quando, scappato dal Campidoglio, uccise alcuni bambini. Venne poi la Lupa con le Aquile che vi permasero fino al 1954.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- La Cordonata
- Piazza del Campidoglio
- Scale del Vignola
- Scale dell´Arce Capitolina
- Via del Campidoglio
- Via del Tempio di Giove
- Via di Villa Caffarelli
- Museo Capitolino

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