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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza_di_S.Maria_in_Trastevere-Basilica_omonima (3)

Più probabilmente sotto la chiesa era un edificio pubblico, destinato alla raccolta di provviste destinate alle elargizioni al popolo, nella quale Calisto (217-222) avrebbe insediato una “domus ecclesiae”, cui fu associato il “Titulus Calisti” (la caratteristica, associata ai Tituli, era appunto l’assistenza, anche alimentare, della popolazione più bisognosa).
Giulio I (337-352) avrebbe completato o edificato la prima basilica, probabilmente una sala absidata del precedente edificio pubblico. In questa sala l’altare era posto al centro dell’aula, all’incrocio dell’asse longitudinale e trasversale della stessa, per rispondere alle esigenze di rito bizantino, prevalenti in quell’epoca. Il Titulus prende quindi il nome di “Titulus Iulii et Calisti”. I presbiteri di questo Titolo presero parte al Sinodo del 595.
La basilica “antica” subì poi, nel 410, un devastante incendio provocato dall‘invasione delle truppe di Alarico (c.370-410), nonostante il divieto che questi aveva imposto alle sue truppe di toccare alle chiese. Papa Celestino I (422-432) riconsacrò la chiesa, come dice il Liber Pontificalis: “hic dedicavit basilicam Iuli in qua optulit post ignem geticum”.
Adriano I (772-795) suddivise la sala in tre navate, la cui prospettiva centrale, sia in pianta che in elevato (verso l’altare maggiore e verso la controfacciata), accompagnava la centralità dell’altare maggiore nell’aula.
Dovrebbe risalire al suo pontificato il trasporto dei corpi dei martiri Calisto (+222), Calepodio (+232) e Cornelio (180-253), dalle Catacombe di Calepodio alla nostra chiesa.
Con l’istituzione legale del potere temporale dei Papi, a cominciare dalla donazione di Sutri (728), per finire con la “Constitutio romana” (824) di Lotario I (822-855), lo Stato Pontificio venne necessariamente ad assumere il carattere di Stato Teocratico e ne dovette esplicitare le forme.
Perseguendo questo fine, Gregorio IV (827‐844), modificò fortemente lo spazio liturgico, rendendolo fortemente gerarchico. Egli sopraelevò il presbiterio (1 m.), ricavandone un altare delle Confessioni (deposito dei martiri), cui sovrappose l’altare maggiore, ornato di ciborio. Inoltre recintò il presbiterio e creò una “Schola cantorum”, separando definitivamente la zona presbiteriale dalla comunità dei fedeli.
In controtendenza di questa gerarchizzazione dello spazio liturgico, creò una cappella “del Presepio”, a metà della navata destra, come possibile contatto più diretto dei fedeli con il divino.
A Gregorio IV si deve pure la costruzione di un primo monastero per il clero a servizio della basilica.
In conseguenza del terremoto dell’847, l’abside della chiesa dovette essere risarcito sotto Benedetto III (855-858), che restaurò anche il portico, la sacrestia ed il Battistero.
Tra il 1138 e il 1148, la chiesa fu integralmente ricostruita, mantenendone le forme, su iniziativa dell’antipapa Anacleto II (Pietro Pierleoni - 1090-1138) e quindi ripresa da papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi - 1130-1143).
L’aggiunta del transetto e la riedificazione dell’abside al di là di questo, allungò la chiesa di altrettanto.
Innocenzo II ornò la nuova abside, con mosaici di Pietro Cavallini e la cappella del Presepe, di Gregorio IV, mantenendo il materiale originale del IX secolo e creando, di fronte alla cappella del Presepe, la cappella della Madonna della Consolazione, nella navata sinistra.
La Madonna della Consolazione è l’immagine che Giovanni VII (705-707) avrebbe detenuto nella sua residenza sul Palatino, che Gregorio IV (827‐844) donò alla chiesa di Santa Maria in Trastevere e che il cardinale Marco Sittico Altemps (1533 – 1595) porrà sull’altare maggiore della cappella omonima, da lui fatta costruire, a sinistra dell’altare maggiore.
In questo momento fu edificato il campanile. Il Titolo divenne allora “Iulii, Calisti et Sanctae Mariae”.
I lavori terminarono nel 1148, sotto Eugenio III (Bernardo dei Paganelli - 1145-1153).
Di alcune parti della chiesa si riconoscono elementi in provenienza dalle Terme di Caracalla e dall’Iseo Campense, in particolare per quei capitelli dove le teste degli dei Iside, Serapide e Arpocrate compaiono come fiore dell’abaco.
Tra il 1584 e il 1597, il cardinale austriaco Marco Sittico Altemps (1533 – 1595), nipote di Pio IV (Giovanni Angelo Medici – 1559-1565) da parte materna, realizzò, ad opera di Martino Longhi il Vecchio (1534-1591), la cappella a sinistra dell’altare maggiore, quella della “Madonna della Clemenza” (1584-1597), che viene detta, per le celebrazioni pittoriche della famiglia, “la Cappella Altemps” e quella del Battistero.
In quel periodo furono probabilmente modificati gli ingressi frontali della chiesa, che, fino ad allora, aprivano tutti nella navata centrale, con un ingresso per navata.
Nel 1617, fu realizzato il soffitto della navata centrale dal cardinale titolare (1612-1620) Pietro Aldobrandini (1571-1621) ad opera di Domenico Zampieri (1581-1641) detto il Domenichino, che ne dipinse anche la zona centrale con “L’Assunzione di Maria Vergine”.
Nel 1702, Clemente XI (Giovanni Francesco Albani – 1700-1721) dette incarico a Carlo Fontana (1634-1714) di ripristinare il portico, oramai fatiscente, il quale ne conservò le colonne, ma ne sostituì il tetto con una terrazza a balaustra in travertino, come vediamo oggi.
Tra il 1866 e il 1877, Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti – 1846-1878), intraprese una importante campagna di restauri, affidata all’architetto Virginio Vespignani (1808-1882).
L’architetto chiuse le aperture precedenti della facciata e ne praticò tre centinate, dotate di vetrate policrome, affiancandole con affreschi di Silverio Capparoni (1831-1907), il quale affrescò anche la navata centrale. Furono anche eseguite le volte a botte delle navate laterali (in precedenza a crociera), fu restaurato il soffitto del transetto su cui, per questo, campano gli stemmi di Pio IX e fu rifatto il pavimento ridistribuendo il precedente pavimento cosmatesco del XII-XIII secolo.

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