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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza_di_S_Cecilia-Chiesa_omonima (3)

Si inizia con una “domus” del II secolo a.Ch., con atrio e pavimento di coccio pesto, appartenente a una non identificabile famiglia di origine medio alta, probabilmente, più tardi, utilizzata come centro artigianale o commerciale per il trattamento/tintura del pellame (camera con 7 silos per tintura o deposito di cereali?), così vantaggiosamente vicino al porto di Ripa Grande.
Nel IV secolo, venne impostata, sui resti della “domus”, una “Insula” a più piani con atrio centrale (probabilmente coincidente con l’atrio della domus).
Si riconoscono oggi alcuni ambienti dell’insula, tra cui una sala absidata, nella quale fu ricavato il battistero del “Titulus Ceciliae” e, poco distante un “balneum” facente parte di una ristrutturazione dell’insula nel V secolo, che quindi non è temporalmente compatibile con il locale nel quale Santa Cecilia (II – III sec.) avrebbe subito il martirio.
La leggenda dice, infatti, che fu papa Urbano I (222-c.230) ad istituire il “Titulus Ceciliae” dopo la morte (precedente il 230) della Santa eponima.
Si crede che la chiesa primitiva sia del V sec., dato che di essa rimane solo il battistero coevo, nell’aula absidata dell’insula.
Il primo documento che dà notizie del Titulus è il sinodo, del 499, di papa Simmaco (498-514) cha lo nomina tra le parrocchie di Trastevere.
Fu in questa chiesa che il papa Vigilio (537-555) fu arrestato e deportato a Gerusalemme dagli emissari dell’imperatore Giustiniano, nel 545.
Fu Pasquale I (817-824) che edificò un primo monastero e l’attuale chiesa, che probabilmente sposò le forme della primitiva (dato che, di questa, non si è trovata traccia), tranne che per il battistero, nel quale, ancora nel XII-XIII secolo, furono operati restauri ed affreschi, segno di continuità nelle funzioni del medesimo, anche se posto al livello inferiore della chiesa di Pasquale I.
Questo papa vi fece trasportare il corpo di Santa Cecilia, che aveva trovato nelle catacombe di San Calisto, e dei SS. Valeriano (suo marito), Tiburzio (suo cognato) e Massimo (il centurione che aveva arrestato gli ultimi due e che si era convertito), che furono poste sotto l’altare maggiore.
La chiesa di Pasquale I, absidata a tre navate, aveva, prima dell’ingresso un atrio/portico colonnato, con al centro il “Cantharus”, che oggi è rimasto al centro della spianata che precede la chiesa.
Nel XII secolo, sotto Pasquale II (1099-1118), furono aggiunti il portico (che sarà modificato nell’XVIII secolo) ed il campanile
Tra il 1283 e il 1293, si intervenne nel decoro interno della chiesa, in senso gotico, con affreschi, nelle navate [probabilmente di Pietro Cavallini (c.1240-c.1330), pittore e mosaicista], sovrapposti a quelli della chiesa paleocristiana, fu edificato il ciborio sull’altare maggiore (autore Arnolfo di Cambio – c.1245-c.1305) e rivestito il pavimento (perduto) con arte cosmatesca.
In questo secolo fu ricostruito il monastero (con la conseguente distruzione dell’atrio/portico di Pasquale I) dedicato ai SS. Cecilia e Agata, che era confidato ai frati Benedettini, che vi rimasero fino agli inizi del XIV secolo. Infatti, nel 1344, il monastero fu affidato all’ordine degli Umiliati, che, poi, per accuse di corruzione e malcostume furono allontanati nel 1527.
Clemente VII (Giulio de' Medici - 1523-1534) lo concedette allemonache benedettine, che, nel 1530, inviarono nel convento un nucleo di suore da quello di Santa Maria in Campo Marzio e che vi permangono ancora.
Essendo Santa Cecilia la patrona dei Musicisti, il primo nucleo dell’accademia di Santa Cecilia fu ospitato qui, dal 1562 al 1661.
Nel 1581, le monache commissionarono a Cristoforo Roncalli (c.1553-1626) detto il Pomarancio, un ciclo di affreschi illustranti la vita di Santa Cecilia, sotto il catino dell’abside, ma questi non ci sono pervenuti.
In occasione dell’anno santo 1600, il cardinale titolare (1591-1618), Paolo Emilio Sfondrati (1560-1618), promosse un importante restauro della chiesa, durante il quale fu riesumato il corpo di Santa Cecilia, che, risultato “non corrotto”, fu riprodotto da
Stefano Maderno (1576-1636), fratello minore dell’architetto Carlo Maderno (1556-1629), in una scultura che oggi si trova sotto l’altare maggiore. In questa occasione le suore fecero costituire una cripta per la loro sepoltura comune.
Tra il 1712 e il 1728, il cardinale titolare (1709-1724) Francesco Acquaviva d’Aragona (1665-1725) affidò agli architetti Domenico Paradisi (c.1660-1727) e Luigi Barattone (attivo dalla fine del XVII secolo alla prima metà del XVIII), un importante programma di ristrutturazione interna. Questi conservarono il ciborio e l’essenziale del mosaico dell’abside, ma cancellarono gli affreschi del Pomarancio nella parte bassa dell’abside, tolsero il pavimento cosmatesco sostituendolo con lastre di terra cotta, introdussero una nuova volta nei soffitti delle navate.
Nel 1741, il cardinale titolare (1733-1747) Troiano Acquaviva d’Aragona (1696-1747), succeduto nel titolo (1733-1747) allo zio Francesco, commissionò a Fernando Fuga (1699-1782) la modifica della facciata della chiesa, sostituendo il tetto del portico con una terrazza balaustrata e inserendo nella trabeazione una scritta commemorativa dello zio cardinale Francesco.
Il cardinale titolare (1818-1837) Giorgio Doria-Pamphilj Landi (1772-1837), nel 1823, si trovò confrontato con il problema di ovviare al sovraccarico delle colonne della navata centrale, causato dalla volta messa in opera nel XVIII secolo. Fu deciso di inglobare le colonne dentro robusti pilastri in muratura e di unire alternativamente gli archi con architravi per sostenerne la tamponatura.
Nel 1824, Leone XII (Annibale Clemente della Ghenga - 1823-1829), nel riordino delle parrocchie del centro cittadino, soppresse la parrocchia di Santa Cecilia.
Le monache benedettine, riuscirono a restare nel monastero, nonostante l’esproprio emanato dal governo della monarchia sabauda del 1873.
Gli scavi archeologici, sotto la chiesa, cominciarono nel 1899, sotto la committenza del cardinale titolare (1887-1913) Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913), che ritrovarono gli edifici di epoca repubblicana e imperiale di cui abbiamo parlato all’inizio.
Il cardinale fu promotore della nuova decorazione della cripta, ad opera dell’architetto Giovanni Battista Giovenale (1849-1934), di stile eclettico, poco apprezzata dai critici d’arte dell’epoca.
Ne 1935, il monastero fu diviso tra due ordini di suore, le Benedettine, che vi erano dal 1530, nell’ala sinistra (guardando la facciata della chiesa) e le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, nell’ala destra, che, però,  sembrano essersi trasferite altrove (secondo Cathopedia).

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