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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via della Lungara o Longara [1] (R. XIII – Trastevere)  (da piazza della Rovere a via Garibaldi)

Fu detta “Longara” per la sua lunghezza e servì a forgiare il proverbio: “chi non va per la strada Giulia, deve andare per la Longara” e valeva per quei prelati che non accettavano cariche fuori di Roma o cariche onerose ed avevano così prolungata la loro carriera.

La strada, fiancheggiata da giardini, che furono della famiglia di Settimio Severo (horti Gaetore), s’inizia con la porta da lui edificata [2] ch’è perciò chiamata “Settimiana[3].
La denominazione della porta è pervenuta dai Balnea di Severo (193-211) [4], dei quali, la porta fu probabilmente un semplice arco facente parte delle fabbriche Severiane [5].

L’imperatore Onorio (395-423) la ridusse a posterula ed Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) la fortificò.

In occasione dei lavori fatti da Alessandro VI andarono distrutte le iscrizioni dell’imperatore, ma restano i beccatelli, barbacani, piombatoi (scivoli), feritoie, cannoniere a croce, merlatura ghibellina costruiti da quel Pontefice [6].  Fu poi danneggiata nel 1798 ed è stata rifatta alla meno peggio.

Ne usciva una strada (Longara), che comunicava con la Cornelia che, a sua volta, si incrociava, davanti alla “Meta Romuli”, con la Trionfale proveniente dal ponte di Nerone (o Triunphalis) [7].
Nel medioevo dalla porta "Septingianam” usciva la "via Sancta” per San Pietro (via Longara).
La perfetta dirittura della strada è dovuta a Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513) che l’aveva ideata col proposito di continuarla, lungo il Tevere, fino a Ripa Grande: “quam quidem viam destinaverat  a platea S. Petri usque ad navalia sub Aventino, qui locus vulgo Ripa dicitur, distructis hinc inde aedificiis promovere”.

Subito a destra, uscendo dalla porta Settimiana, in direzione della Porta di Santo Spirito, la villa della Farnesina [8].

La palazzina [9] fu voluta da Agostino Chigi di Siena [10] (1466-1520), venuto a Roma nel 1485.
Alla metà del sec. XVI, costretti dalle condizioni finanziarie a tornare a Siena, i Chigi vendettero la casina al cardinale Alessandro Farnese.
I Farnese la pagarono 10.500 scudi e da loro prese il nome di Farnesina.
Dopo i Farnese e i Borboni di Napoli, il governo Italiano l’acquistò dal duca di S. Lucia di Madrid, cui era pervenuta da una figlia dell’ambasciatore Bermudez presso la Corte di Napoli che l’aveva a sua volta avuta in dono da Ferdinando II.

L’acquisto (12 milioni) fu fatto per collocarvi l’Accademia d’Italia, creata da Mussolini nel 1926 e disciolta nel 1946.

Sulla sinistra del Tevere (in proseguimento del cavalcavia di palazzo Farnese su via Giulia), è rimasta la piattaforma sulla quale avrebbe dovuto appoggiare il ponte voluto da Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1549), per allacciare la palazzina Chigiana, ingrandita da una sua vigna, al palazzo del Duca (Palazzo Farnese in Regola).

Dopo il palazzo Torlonia (al n. 3), segue la villa Corsini (già hortus delli Semplici, in  parte)  col  palazzo,  già  dei  Riario [11],  che  accoglie  oggi  l’Accademia  dei Lincei.
Fondata il 17 agosto 1603 dal principe Federico Cesi [12], si chiama così, perché intesa “a procurare di penetrare l’interno delle cose per conoscere le cause et operazioni della natura che interiormente lavora”.
L’Accademia dei Lincei cessò la sua attività nel 1630. Risorse nel 1801 ad opera del duca Francesco Caetani, Senatore. Si scisse nel 1870 ed i “nuovi Lincei” si trasformarono poi nella Pontificia Accademia delle Scienze, oggi residente nella Casina di Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565) dei giardini Vaticani [13]. I Lincei furono soppressi dal fascismo, risorsero il 12 gennaio 1946.

Nel palazzo Riario abitò e vi morì la regina Cristina di Svezia [14] nel 1689 “a dì 22 marzo, venerdì, ad un'hora di notte nel palazzo nel quale abitava la regina Cristina di Svezia, portato il suo cadavere con abito di broccato d’oro bianco in carrozza, fatta appositamente di tutta veduta, con il Parrocchiano et altro Regolare et 2 soi cappellani con carrozza vuota, con avanti valletti con ombrella et altre 5 carrozze con valletti, tutti con torce e la sua guardia svizzera con alabarda. A causa che ponte Sisto si riparava, tutto ha fatto la strada della Longara, S. Spirito, Banchi, Monte Giordano, “alla Chiesa Nova, dove fu collocata per la notte, con concorso di popolo eccessivo....Furono serrate quasi tutte le botteghe di Roma; tutti concorsero al trasporto di essa a S. Pietro in Vaticano [15], a mezzo dell’offitio dei defonti, fu dato principio alla processione di trasporto”. (Tumulata a S. Pietro).

Nel palazzo vi fu pure Giuseppe Bonaparte, quale ambasciatore della Repubblica Francese, che, per aver salva la vita, si dovette arrampicare sul cancello per rientrare in casa, onde sfuggire alla rivolta popolare, avanti al palazzo, di cui era rimasto vittima il generale Duphot [16]  (28 dicembre 1797).
Abitavano con loro anche Letizia, madre di Napoleone e il di lei fratellastro cardinale Fesch  che,  dopo  il  concordato,  fu  l’ambasciatore  del  nipote (Napoleone), cosa che a Pasquino fece domandare da Marforio:

“Pasquino mio che te ne dice il core
del nuovo Ministro ambasciatore?

e Pasquino rispose:

“Male, male, male
è corso e cardinale!”.

Fra le vie: della Longara, S. Francesco di Sales e via delle Mantellate [17] sorge il carcere di “Regina Coeli, che prende questo nome perché costruito nel posto ch’era occupato dalla Chiesa di S. Maria Regina Coeli che, insieme al convento delle Carmelitane, era stata fondata nel 1654 da Anna Colonna, moglie di Taddeo Barberini: "Avendo la Principessa Donna Anna Colonna, moglie di Don Taddeo Barberini, nepote del Pontefice Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), eretto un nuovo monastero di Carmelitane Scalze alla Longara col titolo della chiesa di Santa Maria Regina Coeli…” [18]..

La parte del carcere, prospiciente via delle Mantellate, è riservata alle donne e prende il nome di "Carcere delle Mantellate" nome trasmessogli da un convento ivi esistito delle monache della Visitazione (Salesiane), fatto costruire da Clemente IX (Giulio Rospigliosi - 1667-1669) nel 1669. Il carcere è costruito secondo il sistema "panottico [19] ".

Altro bel palazzo (palazzo Salviati), quasi al termine della strada, edificato dal cardinale Bernardo Salviati per alloggiarvi Enrico III di Francia (1574-1589), fu poi acquistato dal banchiere Lovatti, per 14.000 scudi, e rivenduto in seguito al Governo Pontificio che vi alloggiò l’archivio notarile. Nel 1883 fu destinato al Collegio militare.

Di fronte al Palazzo Salviati sboccava il ponte di ferro che  portava dalla Longara, a S. Giovanni dei Fiorentini. Era sospeso e quindi senza piloni. Fu inaugurato l’8 ottobre 1863, dopo essere stato collaudato dal passaggio dell’artiglieria pontificia. Una lapide avvertiva che “il pedaggio si paga all’altra sponda”. (Longara).

Altre chiese sulla strada: S. Jacobo de Settignano o S. Giacomo alla Longara la cui origine risale a Leone IV (847-855) ed il convento annesso, con la presenza(1628-1891) delle Monache Penitenti , fondate da S. Carlo Borromeo (1538-1584)[20]; S. Croce delle Scalette (per le due rampe di accesso)[21] detto il Buon Pastore per le ravvedute ivi ricoverate dal 1615; S. Giuseppe alla Lungara  eretta nel 1732 da Clemente XII (Lorenzo Corsini - 1730-1740) con annesso convento; San Leonardo in Settignano [22], che  già  figura  sui  regesti  di  Gregorio  IX  (1227-1241)  e  dove  S.  Francesca Romana [23] miracolò, nel 1344, la cognata Vannozza Ponziani Santacroce.

Prossimo alla porta di S. Spirito [24] stava, fino al primo decennio del XX sec., il manicomio di Roma [25], nel posto del gran quadrilatero cimiteriale dell’Ospedale S. Spirito [26], che aveva la chiesuola di S. Maria del Rosario [27] architettata, con le altre fabbriche, da Ferdinando Fuga (1699-1784) e la “macchina” della Vergine da G. L. Bernini (1598-1680) e dove nell’ottavario dei morti si tenevano le rappresentazioni sacre.

La porta di Santo Spirito (della cinta Leonina) chiude la strada.

La posterula “Saxonum[28], delle mura Leoniane, fu detta di Santo Spirito, quando anche la vicina chiesa che, per essere prossima alla scuola degli Anglo-Sassoni, era chiamata Santa Maria in Saxia, prese il nome di Santo Spirito.
Infatti, dopo essere stata distrutta da un incendio sotto Pasquale I (817-824), insieme all’unito ospizio, e saccheggiata poi dai Saraceni, fu, nel XII secolo, con l’ospizio stesso trasformato in nosocomio, affidata ai frati ospedalieri, istituiti da Guido di Montpellier, detti di Santo Spirito.

La città Leonina, fortemente danneggiata dall’assedio del Borbone del 1527 [29], cominciò ad essere riparata solo nel 1534, quando il re di Algeri, Barbarossa, apparve alle foci del Tevere e si intensificarono i lavori dopo che, nel 1541, Barbarossa ebbe vinto, presso Algeri, la squadra cristiana, e ad Antonio da Sangallo il giovane fu affidata la direzione dei lavori.

Nel 1543, completato il bastione, anche la porta di Santo Spirito era a buon punto, quando si accese una lotta per sostituire il Sangallo con Michelangelo. Prevalse Michelangelo,
Il Sangallo, avvilito per la perdita, morì (1546) ed il lavoro della porta rimase sospeso e così è rimasto fino ad oggi, nonostante la nomina fatta da Pio IV (Giovanni Angelo Medici - 1559-1565) di un giusto successore, in persona di tal Jacopo da Ferrara, detto il meneghino, e definito dal defunto Sangallo: “architetto per burla”.

Epoca imperiale romana - Numerose le testimonianze dell’epoca imperiale romana ritrovate lugo la Via della Longara, già “Sub-Jannicolensis".

Nella descrizione dei resti di costruzioni romane scoperti nel giardino della Farnesina, il Lugli afferma, che gli "horrea vinaria" [30], di proprietà imperiale, erano appartenuti in parte ad un tale Arrunzio, mentre un’altra parte, erano stati appositamente costruiti sotto Traiano (98-117).

Deducendone che, poiché tutte le fabbriche della zona si presentarono, quando furono rinvenute, ancora nella forma primitiva ed originaria, fosse da dar ragione al Lanciani che scriveva nel 1880: “dalla qualcosa (la forma...) parmi poter dedurre la conseguenza che, dopo la primitiva minaccia di azioni barbariche, la zona estramuranea deve essere stata abbandonata alla rovina, invasa dalle torbide del fiume, e ridotta a coltivazione”.

Oltre la villa della Farnesina, e precisamente  fra questa e il ponte Sisto, fu scoperto, dice sempre il Lugli, a sud delle mura di Aureliano e in contatto con esse dalla parte interna, un importante sepolcro quasi integro, che era stato interrato per circa due metri, quando furono costruite le mura. A questo proposito annota il Lanciani, illustratore della scoperta, che la sponda del Tevere in questo sito subì un sopraelevamento, nella zona intramuranea di m 3,07 rispetto a quella extramuranea, per aumentare la difesa della città nella pianura Tiberina.

Il sepolcro aveva la forma di una camera rettangolare, fasciata all’esterno (metri 7,44 x 7,12) con blocchi di travertino a bugna e all’interno con mattoni rossi e bene arrotati; sull’architrave si leggeva: "C. Sulpicius M(arci) f(ilius) Vot(uria tribu) Platorinus, sevir, x-vir stlitibus indic(andis). Sulpicia C(ai) f(ilia) Platorina Corneli Prisci (uxor)". Conosciamo in tal modo i due fratelli che furono proprietari del sepolcro, nel quale furono poi tumulati, oltre ai due titolari, altri membri della  famiglia gentilizia: Minazia Polla, Crispino Cepione, Antonia Furnilla, sposa di Q. Marcio Barca Sura e madre di Marcia Furnilla, seconda moglie di Tito (79-81) ed altri, le cui ceneri erano raccolte entro cinerari di alabastro e di marmo bianco con eleganti ornamentazioni.
Nell’interno giacevano due statue, una femminile intera, di buonissima scultura, che rappresenta forse Sulpicia Platorina, e una maschile frammentata, di un personaggio del tipo eroico; un busto delicatissimo di giovane donna (Minazia Polla?) e alcuni pezzi di suppellettile funebre.
La  presenza  del  sepolcro  in  questo  luogo  dimostra  che  nella  prima  metà del I sec. d.C., quando fu eretto, quella zona era fuori del pomerio e che, se anche vi fu  inclusa più tardi,  il monumento fu  sempre rispettato fino ad Aureliano (270-275), ed anche allora non fu distrutto, quantunque disturbasse la costruzione delle mura, ma solo scoperchiato e interrato.

Non potendosi conservare sul luogo a causa del basso livello, il monumento fu, nel 1880, scomposto e ricostruito con i suoi oggetti in un’aula delle terme di Diocleziano.

Per via della Longara, contigui a quelli di Cesare, verso porta Settimiana, sorgevano gli Horti Getae, nel territorio dei quali sono stati rinvenuti gli avanzi di una cisterna d’acqua e tre bellissime sale con pavimenti marmorei nel giardino della villa Corsini.

Venne poi, sotto Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), scoperta una statua in bronzo di Settimio Severo (193-211) e nel 1883, nel terreno dell’ospedale di Santo Spirito, la parte inferiore di una statua femminile.  

Poi ancora gli horti Clodiae, forse la Lesbia catulliana, la bellissima sorella di P. Clodio Pulcro, il tribuno che fu vittima di Milone, nel 52 a.C..
La moglie di Q. Metello Celere, il vincitore dei Catilinari a Fiesole, fu sospettata di aver soppresso il marito col veleno.
Metello, amante della vita acquatica, si costruì sulla riva del Tevere questi giardini, attrezzandoli con lusso [31], perché la classe più elevata dell’Urbe potesse passarvi le proprie giornate balneari. Si crede che sia la casa scavata nel giardino della Farnesina, simile ad un edificio termale e decorata con sfarzo di pitture e stucchi, quale si addice solo ad una domus.

________________________

[1] )            Fu anche chiamata: Via Settimiana e Via Santa, fino al XV secolo, allora quasi campestre.

[2] )            Gli “Scriptores Historiae Augustae” nella vita di Settimio Severo (c.19,5) ricordano una “porta nominis sui” nel Trastevere. Dicono: “Opera publica praecipue eius extant Septizonium et thermae Servianae. Eius denique etiam ianuae in Transtiberina regione ad portam nominis sui, quarum forma intercidens statim usum publicum invidit”. Incerto il testo, se dicesse “ianus” è da escludere uno “Janus” di Settimio Severo nel Trastevere, mentre “ianuae” avrebbe fatto pensare alla ianuae di un’acqedotto o ad alcune “balneae Septimianae”, lì presso, da non confondere con le grandi terme Severiane della prima regione.

[3] )            “Septimianum” è un nome di luogo, come Vaticanum, Janiculum ecc., che designava le alture che costeggiano la riva destra del Tevere.

[4] )            Marmi e colonne furono usati nella costruzione di S. Crisogono.

[5]  )           La Porta farebbe piuttosto parte del sistema difensivo delle mura aureliane, nella parte in difesa del rione Trastevere.

[6] )            Dalla porta fino al Gianicolo, lungo le mura, torri di difesa. In una si nascose il vicario di re Ladislao per sfuggire a Paolo Orsini e si salvò perché “...certi de regone Transtiberina dimiserunt sibi funem per fenestram existentem in uno turricolo et sic evasit...”.

[7] )            Unico era il curator viae Aureliae Vetus, Novae, Corneliae et Triumphalis. Le porte Settimiana, di Santo Spirito e Fabrica (sul colle Vaticano) riscuotevano dazio nel 1564.

[8] )            Nel ‘500, quando per la Lungara fu iniziata la costruzione di molti edifici, diverse fornaci erano situate ai piedi del Gianicolo dando lavoro ai fornaciai che fin dal secolo avanti avevano molto lavoro per la pavimentazione delle strade con mattoni a spina.. “ab hac porta postea Julius II viam direxit usque ad portam nunc Sancti Spiritus, ubi a dexteris et sinistris sumptuose surgunt aedes....”.

[9] )            “...il palazzo tutto, e perfino le stalle, belle e ricchissime, fu innalzato sì nobilmente, in emulazione dei sigg. Riario, incontro i quali si erano proposti superar lui e ne restarono ben addietro”. L’edificio fu terminato nel 1513, infatti in una lettera del 25 agosto 1511 ad Isabella d’Este è scritto: “Hozi il Papa è andato alla  vigna di  m. Augustino Caisso et lì è stao tutto il zorno, disnato e cenato. Li è un bello palazoto, ma non è anchor rifinito et lo fa molto richo di adornamenti di varie cose, ma li marmori passano tutto, tanto sono bellissimi et vari colori”.

[10]             Agostino Chigi fu allievo del banchiere Spannocchi, di cui assunse l’azienda, dopo il fallimento di questi per 70.000 ducati. Fu banchiere di Giulio II (che gli consentì di imparentarsi con la famiglia della Rovere) (Giuliano Della Rovere - 1503-1513) cui fornì 400.000 ducati senza interesse, ma ricevendone in pegno la tiara di Paolo II (Pietro Barbo - 1464-1471), e la concessione dello sfruttamento della miniera dell’allume della Tolfa e delle saline di Cerva. Prediletto anche da Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521), fu chiamato il "Mercator Christianitatis”. Vero mecenate del tempo, “protesse gli artisti e, volendo costruirsi una villetta in Roma, forse con l’idea di farsene un nido maraviglioso con la sua amante, la famosa Imperia”, fece costruire, dove furono probabilmente gli Horti Clodiae, “la perla senza pari” la villetta creata dal Peruzzi nel 1509 ed illustrata da Raffaello, da Giulio Romano, da Sebastiano del Piombo, da Daniele da Volterra, da Gaspare Pussino, da Annibale Coracci, al Sodoma ecc.  Vi morì il 10 aprile 1520 e l’11 “Questa mattina è stato portato per Banchi co’ gran pompa de 200 torce et 80 vestiti co’ mantello corozoso (Colori corozosi, erano i colori del lutto), Agostino Gixi, senese, primo mercante notorio a tutti...

[11] )          Fu acquistato nel 1729 dal cardinale Nerio Corsini. Vi abitò Caterina Sforza dal 1477 al 1481 quando sposò il Riario a 14 anni.

[12] )          Il nome di “Telescopio” fu ideato dal principe Federico Cesi, che, avuta notizia esser stato ideato dal Galilei un occhiale capace di far apparire vicini gli oggetti lontani, se n’era fabbricato uno, che chiamò così, dopo l’approvazione avuta in una riunione tenuta nella villa Cesi, alle falde del Gianicolo, dalla parte di S. Pietro, cui parteciparono, con lo stesso Galilei, un gruppo di insigni scienziati, fra i quali il dottor Giovanni Faber, primario di Santo Spirito, che appare in un quadro dipinto dal Rubens (1577-1640), che, durante il soggiorno romano, fu da lui guarito. Fu il Faber stesso che dette poi il nome di microscopio (L’11 maggio 1834 in un locale all’angolo di Piazza di Spagna e via di San Sebastianello fu mostrato al prezzo di 2 paoli, al popolo di Roma e per la grande affluenza trasferito a piazza di Spagna, angolo piazza Mignanelli) a quell’occhialino, inviato dal Galilei al principe Cesi, per scrutare le "cose minime"  come le chiamava lo stesso Galilei. Così, infatti, il Faber scriveva al principe, trattando delle nuove invenzioni del signor Galileo: "Et perché io fo anche menzione di questo nuovo occhiale di vedere le cose minute e lo chiamo "Microscopio", veda Vostra Eccellenza se gli piace con aggiungere che li Lyncei, sì come hanno dato il nome al primo Telescopio, così hanno voluto dare il nome conveniente a questo ancora et meritamente perché sono stati primi qui a Roma che l'hanno avuto".
E nonostante che il principe Fabio Colonna avesse proposto al Cesi il nome di "Enghiscopio" che vuol dire “occhiale da vicino, a differenza dell'altro che vede di lontano et di vicino, ma, non tanto per essere diversa la misura dei vetri et lodo che sta ben detto "telescopio" per essere perfetto, ma anche se potria dire "ponoscopio" che di lontano vede minutamente", pure il nome di microscopio, restò al nuovo apparecchio. Su di esso scriveva il Galilei al Cesi: "Io ho contemplato moltissimi animalucci con infinita ammirazione, tra i quali la pulce è orribilissima, la zanzara e la tignuola bellissime e con grande contento ho veduto come faccino le mosche et altri animalucci a camminare a specchi e anco di sotto in su". Fu solo più tardi, che, da trastullo dei nobili e cortigiani, il microscopio passò alle applicazioni scientifiche, e nel 1629, sopra un libro uscì, a cura di Francesco Stelluti, l’incisione in rame “dell’anatomia meravigliosa delle parti esterne dell’ape”.
A proposito del suddetto medico Giovanni Faber, linceo e medico primario di Santo Spirito, si ricordano due fatti da lui narrati nei suoi  "Iuvenilia". Nel 1602, fu portato un uomo assai malconcio all’ospedale che ai rimproveri del Priore dell’ospedale per l’ingiuria fatta a Dio, tagliandosi le parti virili e gettandole nel Tevere, rispose alla domanda se credesse nel simbolo degli apostoli: "Et credo di più, ché, chi non fa come ho fatto io, non va in Paradiso". Al che obiettò il Faber: "Ma tu avrai certo pochi compagni!". Il poveruomo aveva imitato Origene, filosofo cristiano alessandrino (185-254) che tentò di accordare il neoplatonismo e il cristianesimo in un sistema teologico-filosofico. Sì evirò, forse, per una letterale interpretazione del Vangelo di S. Matteo.  Subì il martirio nella persecuzione di Decio (249-251).
L’altro fatto, simile al precedente, riguarda quel Leonardo Ceruso, soprannominato il “Letterato”, che, predecessore di Tata Giovanni, si dedicava all’assistenza dell’infanzia e, non avendo mezzi, guidava, i ragazzi da lui raccolti, in giro per la città a raccogliere elemosine, cantando laudi spirituali e facendoli spazzare le strade, in modo che, con i compensi ricevuti, “governava et aiutava, essi fanciulli, in tutto quello che aveva necessità”. Ora essendosi egli adoperato anche del ricovero delle ragazze abbandonate, avvenne che s’innamorasse di una di esse, ma sentì tanta vergogna, per avere “avuta la tentazione di una di queste zitelle”, che operò come il precedente individuo, ma, mentre questi morì, il Ceruso invece fu ricoverato, dopo la giacenza ospedaliera, dal cardinale Federico Borromeo, in piazza Navona, dove morì il 15 novembre 1595.

un tale che aveva imitato

[13] )          Vedi dettaglio “Studi Romani” anno VI, N°5 a pag.595 e seguenti.

[14] )          “Regina senza regno – Principessa senza sudditi – generosa senza un soldo – Politica senza ragion di Stato – Formidabile senza forze – Novella cristiana senza fede” (Pasquino).

[15] )          Il 17 novembre 1696 “Ha il Papa assegnato 6000 scudi al cavaliere Fontana per il monumento che ha ordinato di innalzarsi a memoria della Regina di Svezia in S. Pietro a somiglianza di quello della Contessa Matilde”. (Vedi Ms.789 Biblioteca Vittorio Emanuele).

[16] )          La morte del generale Duphot ebbe conseguenze diverse da quelle della uccisione di U. De Bassville. Infatti se per questi la Repubblica Francese, in ben altre faccende affaccendata (10 giorni dopo l’aggressione mandò a morte Luigi XVI - 21 gennaio 1793), si era limitata ad un’energica nota diplomatica, per il Duphot invece, dopo aver fatto arrestare a Milano il Ministro Pontificio marchese Massimo, fece marciare su Roma il generale Berthier. Il 10 febbraio 1798 i francesi apparvero a Monte Mario, dopo 4 ore presero in consegna Castel S. Angelo. L’11 le truppe fecero il loro ingresso a Roma. Nel pomeriggio, dopo averne scacciati i frati, s’insediarono all’Ara Coeli. La conseguente Repubblica Romana (15 febbraio 1798) onorò anch’essa il defunto generale. Sulla Piazza di S. Pietro fu fatto costruire, su disegno dell’architetto Bargigli, una colossale piramide di tela che copriva l’obelisco ed ai lati due alberi della libertà e all’intorno 16 tripodi e due are fumanti incensi e profumi; il tutto sorvolato da due geni alati recanti l’epigrafe: “Tuus – Heroes Gallus Rogus – Libertatis Romanae – Incunabulum – Redivivus".
Ma non fu solo questa la cerimonia repubblicana che profanò la Piazza. Il 28 di germile  (16 aprile) dell’anno VI, sotto un gruppo eroico su base corinzia, fra alberi, bandiere e lauri, fu celebrato l’atto federativo fra le due repubbliche. Mentre in genere le cerimonie erano celebrate al Forum Romano e al Colosseo, dove sotto la statua di Pompeo, che secondo la tradizione aveva visto l’assassinio di Cesare, fu recitata la “Mort du Cesar” di Voltaire ed al Foro Romano (campo vaccino) davanti al Tempio di Antonino e Faustina fu  solennizzata la "Perpetuità della Repubblica".
Altre feste e commemorazioni furono indette nei diversi Rioni che ebbero cambiati i loro nomi, così  "Ponte" fu detto "Bruto"; "Regola" - "Pompeo"; "Monti" - "Terme e Suburra"; "Trastevere" - "Gianicolo"; eccetera.
Ma tutto finì quando i tamburi del generale Jean Étienne Championnet ed il cannone annunziarono la mattina del 25 novembre l’avvicinarsi delle truppe napoletane che occuparono Roma fino a dicembre, quando, battute dai francesi a Tarquinio, Netti e Marigliano, rientrarono nell’Urbe finché l’appoggio degli inglesi non permise ai Napoletani di ben acquartierarsi.
Il 3 luglio del 1800 Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823) rientrava a Roma, passando sotto un grande arco centrale che si apriva sul Corso fra le due chiese di Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria di Monte Santo (Piazza del Popolo), mentre due portichetti a colonne adorne di festoni verdi chiudevano l’ingresso di via Ripetta e di via del Babbuino.
L’arco sormontato dallo stemma pontificio portava scritto: "Adventui principis sanctissimi – D.N. Pii Septimi Pont. Max. S.P.Q.R. Pro tempore et copia”.
Al Pontefice, lungo il percorso, facevano ala le truppe napoletane, mentre sparava Castello e suonavano tutte le 400 campane di Roma.
Il percorso Pontificio comprendeva: il Corso, via Fontanella di Borghese, Tordinona, Ponte Sant’Angelo e Borgo. Il Papa arrivando così a S. Pietro verso le 22 di sera, veniva accolto dal Capitolo con alla testa il pretendente d’Inghilterra, cardinale duca di York arciprete della Basilica. (Ne aveva recitato l’elogio al momento dell’incoronazione).
Dopo aver pregato sulla tomba di S. Pietro, il Pontefice per la via dei Massimi, piazza del Gesù e Magnanapoli andò al Quirinale, residenza estiva della Corte Pontificia.
Finiva così Pasquino di invocare S. Pietro contro i Galli conchiudendo la sua prece: “... fanne vendetta di questi bricconi, - Tiragli bene il collo a tutti quanti, - O falli almeno diventar capponi".

[17] )          Dove è il carcere femminile chiamato delle Mantellate, per un convento delle religiose dell’ordine dei padri Serviti, dette Serve di Maria che avevano la chiesa della Visitazione  e S. Francesco di Sales, fondata da Clemente IX (Giulio Rospigliosi - 1667-1669), insieme al convento. Una canzone romanesca ricorda la vita delle carcerate in questa prigione:

Le Mantellate so' delle suore
A Roma so' soltanto celle scure
Una campana sona a tutte l'ore
Ma Cristo nun ce sta dentro a 'ste mura

Ma che parlate a fa'
Ma che parlate a fa'
Qui dentro ce sta solo infamità.

Carcere femminile ci hanno scritto
Sulla facciata d'un convento vecchio
Sacco de paja ar posto der tu' letto
Mezza pagnotta e l'acqua dentro ar secchio.

[18]             Si chiamò “Regina Coeli” perché nella regola delle suddette carmelitane si faceva loro obbligo di recitare quattro volte al giorno l’antifona “Regina Coeli laetare ecc.

[19] )          “Panopticon” è il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. Vi sono otto "bracci" a quattro ordini ciascuno. Nel seminterrato sono le celle e le camere di sicurezza per i detenuti di "transito".  La "casa di pena" ha due rotonde da ciascuna delle quali partono e si irradiano quattro bracci; cioè quattro lunghi corridoi con celle a destra e sinistra. Ogni "braccio" contiene dalle 100 alle 80 celle e ogni "rotonda" ha un altare e, da lungo "le raggiere", i detenuti possono assistere alla messa domenicale.  In luogo appartato sono anche 20 celle di rigore. Nell'ora del passeggio i detenuti, giudicabili, vengono portati "all'aria" in cortili rotondi divisi, in tanti raggi, da alti muri, sul cui centro è una piccola "piattaforma" da dove una sola guardia può vigilare l'interno dei cortili. Vi è un reparto adibito ad infermeria ed a sale chirurgiche. Nello stabilimento, prospiciente alla via della Lungara, sono gli uffici di amministrazione e direzione. Appena entrati nel carcere - dall'ingresso principale - si trovano a sinistra, le sale di perquisizione e di matricola. Seguono le stanze per i giudici, quelle per i "riconoscimenti" e per i colloqui particolari e comuni. I laboratori sono una decina: falegnami, fabbri, meccanici, sarti, calzolaio ecc. Importante è la tipografia, che ha una grande sala per i compositori, la sala delle macchine, e vicino il reparto litografico. La fonderia e un impianto di stereotipia, trafile ecc. integrato e completato dall'altro di galvanoplastica. La legatoria con macchine tagliacarte, piegatrici, rigatrici, trance, torchio e presse. Vi si stampa la Gazzetta Ufficiale - Raccolta Leggi e Decreti - bollettino del Consiglio di Stato - Annuario Generale ecc.
Nel reparto "Mantellate" è la scuola di polizia scientifica con il casellario centrale di identificazione con "cartellini segnaletici" dei peggiori delinquenti italiani e stranieri.  Ogni cartellino reca la fotografia di fronte e di profilo del pregiudicato, le generalità complete coi soprannomi e i titoli dei reati, la descrizione di tutti i connotati e contrassegni, il rilievo antropometrico, per i confronti internazionali, i dati somatici ed il rilievo dattiloscopico. Quest'ufficio centrale e anche in rapporto con tutte le polizie del mondo. A metà dell'anno 1897 i detenuti delle Carceri Nuove furono trasferiti nel nuovo carcere di Regina Coeli ed i locali di via Giulia rimasero a disposizione del Ministero di Grazia e Giustizia destinati a ufficio antropometrico e museo criminale.

[20] )          Presso S. Giacomo avvenne, nel 1407, lo scontro fra le genti di Paolo Orsini e quelle del re Ladislao, sotto il pontificato di Gregorio XII (Angelo Correr - 1406-1415). “A dì 27 del mese dicembre revenne Paulo Orsini pei cacciare lo re Lanzilabo et fece grande battaglia..et morseronce di molte persone di quelle dello re et di quelle de Paolo”.

[21] )          Vicino alle scalette vi era la torre di Francesco de Vico, ricordata nel catasto del Gonfalone del 1487.

[22] )          Quesa chiesa, ora  scomparsa, dava, a quel tratto di strada, il nome di Borgo S. Leonardo.
Nei regesti di Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Segni - 1227-1241), negli archivî della S. Sede, v' è il seguente documento dell’anno 1240 che alla suddetta chiesa si riferisce, dal quale risulta quanto antica fosse la medesima:
Magistro et fratribus hospitalis sancti Spiritus in Saxia de Urbe - Quia inter holocausta virtutum illud Deo acceptabilius  creditur, quod Altissimo de pinguedine caritatis offertur, hospitali vestro eo  fortius providere nos convenit, quo inibi multa elemosinarum effusione, egenorum  necessitatibus liberalius subvenitur. Hinc est quod nos ecclesiam Sancti  Leonardi de Ponte grandinato cum  iuribus et pertinentiis suis hospitali eidem pro vestibus illuc confluentium  pauperum perpetuis temporibus concedimus, dilecto filio . . primicerio urbis  ipsius ecclesie Rectore cedente vel decedente predicti hospitalis usibus  applicandam vobisque tunc possessionem ipsius ingredi auctoritate propria  valeatis presentibus indulgemus. Salva congrua sustentatione Vicario in ea pro  tempore domino servituro. Nulli ergo nostre concessionis etc. Datum  Laterani V kal. Decembris anno XIII" (Armellini)

[23] )          Santificata da Paolo V (Camillo Borghese - 1605-1621) il 29 maggio 1608.

[24] )          Solo quando Leone IV (847-855) costruì la “Civitas Leoniana”, il Vaticano fu compreso nella cinta muraria, rimanendone fuori solo quella parte che è oggi via della Lungara. Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) unì la città Leonina e l’antico Trastevere, costruendo le mura che vanno dal Vaticano alla porta Settimiana. Le vicine chiese presero l’attributo “de Settignano” o “in Settignano” appunto dal nome della porta.

[25] )         ”Il Manicomio di Roma” (Scomparso con la costruzione degli argini del Tevere) “conta il suo principio dal 1547 e sorse per le cure del sacerdote Ferdinando Ruiz, il quale destinava per esso una casa in piazza Colonna, presso la chiesa di Nostra Signora della Pietà. Avvantaggiavasi indi, colla protezione e coi benefici di un Neri, l'apostolo di Roma, di un cardinal Borromeo, milanese, di un P. Lainey, finché, nello scorrere del tempo, trovò sostegno ne' Pontefici.
Per disposizione di Benedetto XIII, cresciuto il numero dei ricoverandi, il Manicomio di S. Maria della Pietà congiungevasi coll'Ospedale di S. Spirito in Sassia. Ciò compievasi sul 1728: e l'ampliamento allora ottenutovi venne poi, giusta i bisogni, perfezionato ed accresciuto dai Pontefici posteriori
”. (Archivio Italiano per le Malattie Nervose – Anno Primo – 1864)

[26] )          Da dove ha emigrato, prima sulla via del Gianicolo, poi a S. Maria della Pietà.

[27] )          “Questa chiesuola, nota per le storiche illustrazioni del Thomas, e presso la quale avea luogo, durante l'ottavario dei morti, lo spettacolo divoto della rappresentazione, si trova entro il cimitero dell'ospedale di S. Spirito, nella via del Gianicolo. Fu eretta da Benedetto XIV sotto l'invocazione del SS. Rosario ed è ufficiata dalla Pia  Unione omonima, addetta al medesimo cimitero”.  “L'atrio e le altre fabbriche si architettarono dal Fuga. La macchina del Rosario è opera del Bernini. Anche questa chiesuola, coll'unito cimitero, sta per isparire, vittima del piccone demolitore; poiché la nuova amministrazione del manicomio ne ha fatto acquisto per trasportarvi l'ospedale dei pazzi. Per ora non si turberanno le tombe esistenti nel piccolo pomerio, ma anch' esse spariranno quando la passeggiata gianicolense sarà giunta fino a quel punto; e allora i resti mortali ivi giacenti saranno trasportati a Campo Verano. Rimarrà, dicesi, la sola cappella del Crocifisso posta nel cortile delle centocinque sepolture” (Armellini). La chiesuola si trovava nell’area ora occupata dalla Pontificia Università Urbaniana.

[28] )          La posterula ebbe questo nome dalla prima delle “Scholae Peregrinorum” che, fin dall’alto medioevo, ordinate secondo criteri di nazionalità, formarono poi gli istituti nazionali di assistenza per i pellegrini (Vedi Borgo S. Spirito - Borgo).

[29] )          Il 20 settembre 1526 vi entrarono truppe dei Colonna che “espugnarono il palazzo (Vaticano) et presolo lo saccheggiarono con una parte del Borgo”. Il Vaticano fu “quasi tutto a sacco per insino alla guardaroba et camera del Papa” (Clemente VII).

[30])           Nei pressi il quarto tempio della “Fortuna secundum Tiberim”, dedicato da Tiberio, verso la fine del 17 d.C. presso il Tevere, dentro i giardini che Cesare, dittatore, aveva lasciato in testamento al popolo Romano.

[31] )          Il bagno scavato nel 1878-1880, sotto il giardino della Farnesina, si dubita sia proprio il suo. Ricco di pitture e stucchi ed in tutto degno di colei che fu, forse, la Lesbia di Catullo.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Via di Porta Settimiana
- Via della Lungara
- Piazza della Rovere
- Palazzo Corsini
- Chiesa di San Giuseppe
- Chiesa di San Giacomo

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