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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via_del_Sudario-Chiesa_del_SS_Sudario (4)

Il suo abito era costituito da una sacca di tela bianca con una cinta di cuoio rosso, chiusa da una fibbia di osso bianco, con sopra il segno dell’Arciconfraternita: un angelo che mostra la Sacra Sindone.
La presenza dei Savoiardi, nella fondazione dell’Arciconfraternita del SS Sudario, si era determinata ai primi del XVII secolo, quando la Confraternita dei Francesi a Roma, che li comprendeva, si focalizzò sulla sua stretta appartenenza al regno gigliato di Francia, escludendo progressivamente i Savoiardi e i Lorenesi (vedi via di Santa Maria dell’Anima, l’album dedicato alla chiesa di San Nicola dei Lorenesi – Parione).
La posizione geografica e politica del ducato Sabaudo, a cavallo tra la tendenza Francese, propria alla Savoia e la tendenza Italiana, propria al Piemonte e a Nizza, provocò, nel tempo, un’alternanza della rappresentatività  nazionale della chiesa e prolisse diatribe, anche legali (di cui riferiamo in seguito).
Nel 1597, la confraternita del SS Sudario ottenne, in enfiteusi, dai monaci di Farfa, la chiesa di San Ludovico, prospicente via Monte della Farina, là dove oggi sorge il Convento dei padri Teatini (Piazza Vidoni), che serve la chiesa di Sant’Andrea della Valle (vedi Piazza e via di Sant´Andrea della Valle, nell’album dedicato alla Chiesa di Sant’Andrea della Valle).
La piccola chiesa di San Ludovico, essendosi rivelata non sufficiente per accogliere il gran numero di sodali dell’Arciconfraternita (circa 300 anime), il Pontefice ne limitò l’affiliazione ai soli sudditi del Ducato di Savoia, con Breve del 1601.
Tuttavia, nel 1604, l’Arciconfraternita fece acquisto di una casa posta nell’attuale via del Sudario, dove oggi sorge la chiesa, al fine di edificarne una più capiente e, soprattutto, di proprietà dell’Arciconfraternita stessa, da dedicare al SS Sudario.
Con l’accordo del nuovo papa Paolo V (Camillo Borghese – 1605-1621), fu posta la prima pietra nel 1605.
Il duca di Savoia, Carlo Emanuele I (1580-1630) incaricò l’architetto ducale Carlo di Castellamonte (1571-1640), ma il progetto dell’architetto ducale per una nuova chiesa fu probabilmente rivolto alla realizzazione di una chiesa di più ampio respiro che riflettesse l’aspirazione di una congrua rappresentanza del ducato Sabaudo a Roma (del tipo di San Giovanni dei Fiorentini), da realizzarsi in un terreno diverso da quello assai ristretto, acquisito dall’Arciconfraternita. In realtà si è constatato che in nessuno dei documenti che accompagnano la costruzione della nostra chiesa, compare il nome dell’architetto in questione.
L’iscrizione, nel libro dei pagamenti relativi alla costruzione della chiesa tra il 1606 e il 1608, di Giovanni Battista Guerra (1544-1618), potrebbe avvalorare l’ipotesi del suo nome come architetto, tanto più che questo compare nella costruzione di Santa Maria in Vallicella dei padri Teatini, consacrata nel 1599 (vedi Piazza della Chiesa Nuova, nell’album dedicato alla Piazza omonima - Parione).
Terminati i lavori nello stesso anno (1605), Paolo V conferì all’Arciconfraternita la facoltà annuale di liberare un condannato a morte e, nel 1619, Carlo Emanuele I concesse di liberare due banditi nella sua giurisdizione.
Già nel 1604, papa Clemente VIII aveva fatto dono all’Arciconfraternita di una copia del Sudario, realizzata dalla venerabile Maria Francesca Apollonia di Savoia (1594-1656) oggi posta sopra l’altare maggiore.
Nel 1660, a causa del degrado della chiesa, si rese necessario un profondo restauro, che fu affidato ai disegni e alla direzione di Carlo Rainaldi (1611-1691). Fu interessata la travatura del tetto e la sua copertura e, al fine di arginare la rimonta dell’umidità dal suolo della chiesa, furono scavate tre camere sepolcrali, una più ampia al centro e due laterali, che furono destinate, le laterali, alla sepoltura dei confratelli e delle consorelle e la centrale per le salme di defunti “esterni” alla Confraternita.
La facciata, che doveva essere realizzata a filo delle case contigue, necessitò l’acquisto di una piccola striscia di terreno, che fu oggetto di contenzioso con il marchese Caffarelli (il palazzo Caffarelli era di fronte alla chiesa, oggi Vidoni) che ne era proprietario.
La divergenza ebbe termine nel 1664 e solo allora si poté dare inizio ai lavori.
Agli inizi del XVIII secolo, con il trattato di Londra del 1718 e quello dell'Aia del 1720, che sancì, tra l’altro, il passaggio del ducato di Savoia al Regno Sardo, la chiesa si trasformò in cappella della rappresentanza del Regno presso lo Stato Pontificio.
Con la rivoluzione francese, seguita dalla prima Repubblica Romano-napoleonica (1798-1799), l’Arciconfraternita fu soppressa e la chiesa chiusa.
Alla fine del 1799, Napoleone annesse il Piemonte e la Savoia, che divennero territori Francesi e la nostra chiesa fu annessa a quella di San Luigi dei Francesi.
Con la restaurazione dello Stato Pontificio, nel 1814, Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti – 1800-1823) ristabilì la separazione della nostra chiesa da quella di San Luigi dei Francesi, per restituirla al Ministero degli Affari Esteri del Regno Sardo.
Resisi necessari alcuni interventi di restauro (1858), per il lungo abbandono, la chiesa fu nuovamente chiusa per lungo tempo a causa della crisi intervenuta tra lo Stato Pontificio e il Regno di Sardegna, in vista del progetto di unificare l’Italia con capitale Roma.
Nel 1869, da Torino, fu inviato a Roma il sacerdote teologo savoiardo Joseph Croset Mouchet (1810-1875), come rettore della chiesa, il quale ebbe il merito di riordinare tutta la documentazione dell’Arciconfraternita, a beneficio del Regno Sardo, che dovrà difendere la proprietà della chiesa contro le pretese del Regno di Francia. Questo, nel 1864, basandosi sull’annessione della Savoia al territorio Francese, intendeva recuperare anche la chiesa.
Il contenzioso, esaminato dal Consiglio di Stato Italiano (da Firenze, capitale provvisoria), si risolse con il rigetto della richiesta francese da parte di Luigi Federico Menabrea (1809-1896), primo ministro e ministro degli esteri.
La chiesa fu riconsacrata nel 1871, dopo la conquista Piemontese di Roma, ma questa, che era stata rappresentanza diplomatica del Regno di Sardegna presso lo Stato  Pontificio (oramai scomparso), divenne la cappella della Real Casa, anche perché Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti – 1846-1878) aveva lanciato un interdetto sulla Cappella Paolina del Quirinale, dove avevano preso residenza i Reali, impedendogli di usarla come tale.
Nel 1946, con l’avvento della Repubblica, la cappella passò sotto il patronato della Presidenza della Repubblica e, solo nel 1984, con la revisione del Concordato, la chiesa tornò sotto la giurisdizione canonica vaticana, retta dall’Ordinariato Militare per l’Italia, con sede nel convento di Santa Caterina da Siena a Largo Magnanapoli (vedi Largo Magnanapoli – Trevi).

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