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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di Porta Leone (R. XII – Ripa) (strada scomparsa)

Dice Alessandro Rufini (1847): "Questa lunga strada, che dalla chiesa di San Nicolò in Carcere termina alla “Salara” nelle falde del monte Aventino, secondo la più probabile opinione deriva il nome da un certo Pier Leone che vi ebbe abitazione ed è sepolto nella chiesa suddetta la quale in altri tempi fu pur detta dei Pier Leoni per la vicinanza alla di lui casa. Rispetto poi al vocabolo porta, potrebbe ben darsi, ed è assai probabile, che sia stato aggiunto per conservare la memoria dell'antichissima “porta Carmentale” che era sotto l'alta rocca Tarpeja dalla parte occidentale, e quindi siasi detta “Porta Leone”.[1]

I Pier Leoni insediatisi nel Teatro Marcello, che ridussero a fortezza nel 1086, occuparono “con un ammasso di casette medievali” tutta quella regione che poi si chiamò di Porta Leone.

Essi originarono da Leone, nel secolo XI, che aveva fatto grossi prestiti ai più potenti e perfino a Gregorio VII (1073-1085), che il Pierleoni ricoverarono a Castel Sant'Angelo quando la fortezza fu loro affidata dai Pontefici.
Leone, battezzato col nome di Benedetto Cristiano, fu fatto nobile.

Il figlio Pierre Leone diventò ricchissimo, uno dei suoi figli fu senatore, l'altro fu l'antipapa Anacleto II (1130-8).

Pierleone, difensore del papato, nel 1099 ospitò, nelle fortezze del teatro Marcello, Urbano II, che morì il 29 luglio di quell'anno “in domo Petri Leonis, III Kl ang. animam Deo reddidit; atque per transtiberim, propter insidias inimicorum, in ecclesiae beati Petri, ut moris est, corpus eius delatum est et ibi honorifice humatum”.

Decaddero i Pierleoni nel XIII secolo ed i due nipoti superstiti “...per seditionem ex Urbe profugi ad Alpes venerunt...” abbandonando la fortezza e le loro case, semidistrutte dal popolo.

Si deve all'accumularsi di queste rovine, in parte, l'innalzamento del suolo attorno al teatro Marcello[2] e nell'interno della cavea la formazione di quel terrapieno che fu chiamato “ Monte Sanvello” dai successivi padroni del luogo e via di Monte Sanvello la strada che costeggia il palazzo.

Nel 1368 i Savelli acquistarono gli edifici dei Pierleoni[3]cum cryptis”situati “in monte”. Ma nonostante le riparazioni, e due torri fabbricate, la fortezza non fu più quella che nel 1116 aveva resistito all'esercito romano.

A ricordo della trasformazione i Savelli posero questa iscrizione sulla porta di accesso: “Alta theatra dedit, max propugnacula rursus Diruta restituit clara Sabella domus Ad decus et formam primi haec struxere Savelli Postmodo munitas constituere domos Illa aetas pompas actactriva condidit arces Nunc tandem domus tecta quietis erunt”.

Fra il 1523 e il 1527 i Savelli fecero costruire dal Peruzzi (1481-1537) l'attuale palazzo, ma le luride botteghe[4] allocate al piano terreno continuarono, fino verso il 1930, ad alloggiare rigattieri, fabbri ecc. (furono sfrattati manu militari).

Il 5 marzo 1712 morì Giulio Savelli, l'ultimo della casata e Monte Savello passò agli Sforza Cesarini[5] che vendettero il teatro ed il soprapposto palazzo, detto delle 100 finestre, alla Congregazione dei Baroni che lo rivendette per 29.000 scudi a Domenico Orsini duca di Gravina.

L'epigrafe posta dal nuovo proprietario al posto della prima dice:

“Ottaviano Augusto-
Signore avventuroso del mondo-
Intitolava a Marcello, figlio di Ottavia sorella sua-
Questo teatro per popolari adunanze-
Per grandissimi spettacoli-
Nelle basse età guerresca stanza-
Ai Pierleoni, ai Savelli-
Ora civile magione degli Orsini[6]-
Sacra alla pace domestica e all'amicizia”.

Il teatro Marcello infatti, di parecchi decenni anteriore al Colosseo, col quale ha in comune il travertino compatto della cava del Barco presso Tivoli (in prossimità del ponte Lucano) e la disposizione  ascendente degli ordini toscanico, ionico e corinzio, nei vari piani, nonché la forma tipica delle arcate, ebbe questo nome da Augusto.

Egli lo chiamò così in onore del marito della figlia Giulia, che l'Imperatore aveva adottato come successore e che morì giovanissimo, allo stesso modo come aveva dedicato a sua sorella Ottavia, moglie di C. Marcello senior, il vicino portico di Metello da lui riccamente ricostruito (27-23 a.C.).

La costruzione del teatro era stata iniziata da Giulio Cesare, che volle emulare quello di Pompeo e, per le maggiori proporzioni, Cesare non solo fece demolire il tempio della Pietà[7]ma arretrare il tempio di Apollo (Apollo Sosiano) di almeno 6 m e spostare verso est i portici di Metello. Alla morte di Cesare (44 a.C.) i lavori furono sospesi e ripresi poi da Augusto che li ultimò fra il 13 e l'11 a.C.

Il teatro, abbandonato all'inizio del IV secolo, con la decadenza degli spettacoli teatrali, venne poi spogliato dei secolari ornamenti e demolito in parte da Aviano Simmaco (365-370), per restaurare il ponte Cestio. Per tutto il medioevo continuò la distruzione, finché non fu tramutato in fortezza nell'XI secolo.

I Pierleoni possedettero anche la chiesa[8] di San Nicola, detta per errore “in carcere Tulliano”, chiesa costruita sulle rovine del tempio della Pietà[8bis]. Non quello che Roma repubblicana avrebbe edificato in onore di una matrona, che col suo latte nutriva il padre, che era rinchiuso in un carcere ivi stabilito, ma quello votato alla Pietà da Acilio Glabrione per la vittoria da lui riportata contro Antioco alle Termopili e inaugurato dal figlio omonimo nel 184 a.C.
Plinio così ne scrive: “et locus ille eidem consecratus deae, C. Quintio M. Acilio Coss. templo Pietatis extructo in illius carceris sede ubi nunc Marcelli theatrum est".

Presso la chiesa, oltre il tempio della Pietà, restano le tracce di un altro, creduto quello della Speranza (Spei ad Forum Olitorium - a destra della chiesa che ne ingloba la fila di colonne esterna, ancora visibile) e quello di Giano (a sinistra della Chiesa che ne ingloba la fila del colonnato esterna, pure visibile)

E dell'esistenza di un carcere sul posto, n’è traccia nel Liber Pontificalis nella biografia di Adriano I (772-95), con le parole: “Deductique elephanto[9] in carcerem publicum illic coram universo popolo examinati sunt”.

La chiesa fu elevata diaconia ai tempi di Gregorio Magno (590-604). È l'unica antica diaconia che non sia stata alloggiata in un edificio pubblico civile[10].


[1] )            La via di Porta Leone è scomparsa nella costruzione fatta da Mussolini della via del Mare (ora via del Teatro Marcello).

[2] )            Una sorta di Colosseo nero, buio, appariva, incassato nella viuzza che, con i secoli, si era incurvata attorno ai suoi fianchi. Le colonne e i fornici del teatro, al piano terreno, erano in gran parte interrate per il livello più alto della città attuale, cresciuto sulle rovine del vecchio edificio. Ne usciva sulla strada solo la parte superiore delle arcate, con i blocchi di travertino, nereggianti di fumo e di tempo; e parevano grotte scavate nella rupe, dentro cui si annidavano ogni sorta di caratteristiche botteghe: rigattieri, friggitori, bazar per i villani della contigua piazza Montanara. Negli anni dal 1930 al 40 tutta la zona attorno fu abbattuta ed il teatro isolato, fu sorretto con grossi contrafforti.

[3]               Si dice che Pierleone, ribellatosi ad Alberico (+954) fosse impiccato al collo del cavallo di Marco Aurelio.

[4]              Nel 1450 già il Rocellai vide “un culiseo o vero teatro dove al dì d’oggi si chiama casa de’ Savelli et di sotto al presente vi si fanno becherie (macelli)”.

[5]              Dai Cesarini a mezzo figlia Livia (suor Pulcheria) agli Sforza.

[6]              Il loro ducato di Bracciano era stato ceduto da Flavio Orsini nel 1697 per 386.000 scudi a Livio Odescalchi. Flavio a 21 anni aveva sposato la Ludovisi di 40, poi via Anna di Tremouille, arbitra della Spagna fino al matrimonio di Filippo V con Elisabetta Farnese.

[7]             Lo espropriò con una fortissima somma, abbattendo pure, lì vicino, un luogo per pubblici spettacoli detto “proscenium ad Apollinis”.

[8]             S. Nicola in carcere possiede tre campane, 2 delle quali fatte fondere da Pandolfo Savelli nel 1286, la terza è moderna (1881). Presso il Teatro Marcello, San Nicola degli Orsini, distrutta nel secolo XVI.

[8bis]         Oggi riconosciuto come Tempio di Giunone Sospita.

[9]             « Contrada Elephantis » (dal portico d'Ottavia a S. Galla) “ubi nunc est domus filiorum Petris Leonis” dal simulacro dell'elefante erbario che i Romani avevano posto in mezzo al Foro Olitorio. Vedi "Piazza Montanara" (Campitelli).

[10]            La chiesa e la diaconia sarebbero sorte a vantaggio spirituale dei reclusi e per la loro assistenza. Compito speciale che ha continuato ad assolvere anche in età recenti.

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Lapidi, Edicole e Chiese lungo la via:

- Chiesa di San Nicola in Carcere
- Templi sotto la Chiesa di San Nicola in Carcere
- Chiesa di San Nicola in Carcere - Lapidi
- Varie (Palazzi, Lapidi...)

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