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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di Santa Prisca (clivus Publicius) (R.XII - Ripa) (Nella piazza concorrono: via della Fonte di Fauno, via delle Terme Deciane, via del Tempio di Diana, via di San Giosafat e via di Santa Prisca che da viale Aventino, traversata la piazza arriva al largo Arrigo VII)

La via prende il nome dall’antichissima chiesa che sorge ad oriente dell’Aventino dove si vuole fosse un tempio di Ercole [1] e una grotta di Fauno e Pico, con una fonte in cui Numa pose il vino per inebriarli.
Una lapide murata da Callisto III (Alonso de Borgia - 1455-1458) a sinistra dell’altare maggiore dice: 

“Prima ubi ab Evandro sacrata est Herculis ara
   Urbis Romanae prima superstitio,
Post ubi structa aedes longe celebratae Dianae
   Structaque tot veterum templa pudenda Deum,
Montis Aventini nunc facta est gloria major,
   Unius veri religione Dei.
Praecipue ob Priscae quod cernis nobile templum,
   Quod priscum merito par sibi nomen habet,
Nam Petrus id docuit populos dum saepe doceret
   Dum, fuerat magno sacraque saepe Deo
Dum quos faunorum fontis [2] decoeperat error
   Hic melis sacra purificaret aqua
Quod demum multis se se volventibus annis
   Corruit, haud ulla subveniente manu.
Summus at antistes Calixtus tertius ipsum
  Extulit omne eius restituitque decus,
Cui simul aeternae tribuit dona ampla salutis
   Ipsius ne qua parte careret ope.”

L’epigramma conferma dunque la tradizione che, nel posto, San Pietro avrebbe evangelizzato e battezzato molti neofiti. Tradizione che ha le sue illustrazioni in un altare sotterraneo che si dice consacrato da San Pietro ed in un vaso che si pretende servisse a San Pietro quando battezzò i SS. Aquila e Priscilla ed altri pagani. Il vaso che è un capitello dorico del tempo degli Antonini [3] (138-192) ha tre buche, due minori ed una maggiore, e porta scritto in lettere del XII sec., con abbreviature: “Bactismus S. Petri”.
Il corpo di S. Prisca, che è custodito nella chiesa, vi sarebbe stato trasportato da papa  Eutichiano (275-284) che, per rivelazione, ne avrebbe conosciuta la sepoltura. Da allora il tempio, che era dedicato a Sant’Aquila, fu detto titolo di Aquila e Prisca.

Titolo antichissimo, già nominato nel concilio di papa Simmaco (498-514) nel 499.
Il restauro della chiesa iniziò con Adriano I (772-795) nel 772 e continuò poi con Callisto III (Alonso de Borgia - 1455-1458) nel 1455, con il cardinale Benedetto Giustiniani nel 1600, con Clemente XII (Lorenzo Corsini - 1730-1740) e  con il Fondo Culto nel 1936.

È assai probabile che il titolo fosse stato già la casa dei coniugi Aquila e Prisca sull’Aventino, ove era la "ecclesia” domestica di cui parla S. Paolo [4], che furono cacciati da Roma per l’editto di Claudio (41-54) contro gli ebrei.
Nel sec. XV, si leggeva sull’architrave della porta d’ingresso in “litteris anticuis”: “Haec Domus Est Aquilae Seu Priscae Virginis Almae, Quos Lupe Paule Tuo Ore Vehis Domino, Hic Petre Divini Tribuebas Fercula Verbi Saepius Hocce Loco Sacrificans Domino”.
Nel 1776, presso la chiesa, fu scoperta un’antica casa romana, con dipinti ed altri monumenti romani, già appartenente ai Pudenti.

In seguito alle sistematiche esplorazioni effettuate nel 1939-1940, gli antichi resti romani sui quali poggia la Chiesa di Santa Prisca hanno rivelato la presenza di un mitreo [5] dietro la chiesa.
Nel giardino attiguo alla chiesa fu scoperto, nel XVIII sec., un antichissimo oratorio cristiano, con pitture del IV sec., creduto già oratorio domestico dei santi Aquila e Prisca nell’epoca apostolica.

Sull’Aventino vi era un tempio dedicato a Minerva, dove si celebrava la festa di chi esercitava un’arte qualsiasi (Artificum dies quod Minervae aedis in Aventino eo dies est dedicata).

Il tempio esastilo periptero era prossimo a quello di Diana Cornificia.
Riedificato da Augusto, fu da lui inaugurato il 19 giugno fra il 16 e ed il 4 a.C., mentre la dedicazione del tempio antico era celebrata il 19 marzo [6].
Insieme col tempio di Giove Libertas e di Giunone Regina, il tempio di Diana Cornificia costituì quella triade che era venerata sul Colle Capitolino, triade che qui, sull’Aventino, ebbe la protezione dei lavoratori manuali e intellettuali. La sua positura fu a sud del tempio di Diana e a nord di quello della Luna presso l’incrocio della via di Santa Sabina con la via di Santa Prisca.

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[1] )            Nelle vicinanze quello di Minerva riedificato da Augusto.

[2] )            Nelle pendici dell’Aventino, sotto la chiesa di S. Prisca, sono state ritrovate condutture di piombo e di terracotta e iscrizioni poste dai magistrati e ministri fontis Scauriam al nume tutelare. La sorgente era così chiamata perché sgorgava nel terreno di un tale Scaura.

[3] )            La domus privata di Traiano (98-117), secondo Sesto Vittore, fu sull’Aventino e presso S. Prisca, lo conferma una lapide dedicata : « Herculi conservatori domus Ulpiorum ». Anche la moglie dell’imperatore Vitellio (69) ebbe la sua casa sull’Aventino, come pure il poeta Ennio Quinto (239-169 a.C.) che vi menò vita modestissima, assistito unicamente da un’ancella. Ai piedi del colle, nella XII regione (Piscina Publica) ebbe la sua casa privata l’imperatore Adriano (117-138).

[4] )            Così in una sua epistola : "Salutate Prisca ed Aquila, miei cooperatori in Gesù Cristo. I quali hanno esposto le loro teste per la mia salvezza: ai quali non solo io rendo grazie, ma anche tutte le chiese dei Gentili. E anche la chiesa della loro casa”.

[5] )            Così racconta il Lugli: "In uno di questi corridori, situato a fianco dell’abside verso est, lungo metri 11,25 e largo metri 4,50, si è scoperto un Mitreo, piuttosto rovinato, ma assai interessante per i soggetti delle pitture che ne rivestono le pareti e l’abside. Consta di un vestibolo quadrato con un altare a destra dell'ingresso e un bancone a sinistra; dal vestibolo si passa nella sala, che ha la pianta un po' irregolare a causa dei restauri subiti dal monumento durante la stessa età antica. Ai lati si trovano i due podi caratteristici, inclinati verso le pareti, alti circa 1 m e profondi 1,35, i quali lasciano in mezzo una corsia di metri 1,60, sotto cui passa una fogna; presso la porta si innalzano due nicchie semicircolari a guisa di garitte, dove erano collocate le statue dei Dadofori (Cautes e Cautopates), rinvenute in frammenti fra la terra di scarico; erano di marmo con i panneggi e gli attributi completati in stucco.
Nella parete di fondo si trova una cappella rettangolare che custodiva il mistico quadro con l'uccisione del toro da parte di Mitra; era in stucco e solo pochi frammenti si sono ritrovati fra la terra di riempimento; in basso resta ancora una figura sdraiata seminuda; fatta di pietre e stucco e che rappresenta forse l'oceano: aveva il capo e le mani dorate, come il giovane Bacco del tempio di Giove Eliopolitano sul Gianicolo.
La parete di sinistra conserva tracce di intonaco dipinto su due strati sovrapposti, con gli stessi soggetti, tanto che, dove il primo strato è caduto, si supplisce nell'interpretazione con lo Strato inferiore. Al riconoscimento delle scene contribuiscono le iscrizioni che si leggono in alto su ogni figura. Vi è rappresentata una processione di sette personaggi che cammina verso sinistra, dove, in veste solenne, siede il "Pater"; le sette categorie di fedeli sono rappresentate dai detti personaggi, in ordine decrescente: "Patres, Heliodromi, Persea, Leones, Milites, Nymphii o Kriphios, e Coracese”, ed ognuna di queste categorie è posta sotto la protezione (tutela) di un astro, e cioè, rispettivamente: Sole, Saturno, Mercurio, Giove, Marte, Venere e Luna.
Le iscrizioni si susseguono con lo stesso frasario: Nama  Patribus, tutela Solis, Nama Heliodromis, tutela Saturni, ecc..
Due le processioni simili, ma di soli Leones, si svolgono sulle pareti lunghe del Mitreo, anche qui su doppio strato di intonaco: i sette personaggi, distinti coi nomi e con l'acclamazione rituale: "nama", portano doni ai loro Dei che troneggiano agli estremi; in quella di sinistra si vedono il Sole col Nimbo e Mitra col berretto frigio; in quella di destra "Heliodromus" e il "Pater" vestiti con ricchi manti policromi; fra i donari
(donario: Il luogo ove gli antichi Romani custodivano le offerte agli dei) figurano torri, galli, montoni, crateri di vino, pani e candele.
Il Mitreo è datato da un graffito, inciso dietro la nicchia di sinistra, ai primi decenni del III sec. d.C.; una iscrizione marmorea che dedica il tempio a Mitra Invitto per grazie ricevute, ornava forse la porta d'ingresso. Fra le terre di riempimento sono stati rinvenuti diversi pezzi di statue: un busto di Flora con una cornucopia,  la pietra genitrix, la parte inferiore di un gigante anguipede, una piccola Ninfa con la conchiglia nel grembo e una lastra di piombo traforata rappresentante la testa di Mitra, con i sette raggi, che era applicata ad una finestra della cappella di fondo. In complesso il Mitreo dimostra di avere appartenuto ad una comunità piuttosto povera, la quale disponeva di poco danaro per comprare le immagini necessarie al culto; tuttavia essa supplì con una sua ricca decorazione pittorica e in stucco, la quale presenta non poche novità per la conoscenza di questa strana religione orientale che fu così largamente professata per tutto l'impero romano nel III e IV secolo dell’Era Volgare.
I segni evidenti di colpi di piccone sulle pareti e lo Stato così frammentario delle decorazioni plastiche dimostrano che il Mitreo fu manomesso in seguito ad un'azione violenta, certamente quando il culto di Mitra fu abolito, per il trionfo del Cristianesimo e per la chiusura dei santuari dei vecchi culti idolatrici che avvenne alla fine del IV secolo d.C.
Ulteriori scavi potranno meglio illuminare sulla natura dell'edificio romano, che prima ospitò il tempio di Mitra e poi servì come fondazione al titolo cristiano, nel 499 già figura con i suoi preti fra i sottoscrittori dei Sinodi romani".

[6] )            Durante le feste Quinquatria, sacre a Minerva dal 19 al 23 marzo da quinquatrus, il giorno 5° dopo le Idi, le scuole restavano chiuse.

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Lapidi, Edicole e Chiese lungo la via:

- Chiesa di Santa Prisca - Interno
- Chiesa di Santa Prisca - Lapidi

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