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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via_di_S_Sabina-Chiesa_di_S_Sabina

Sotto il portico del monastero è stato ritrovato l’impianto di un edificio termale del III secolo, che ha utilizzato ambienti precedenti (domus?) del II secolo a. Ch., addossati a parti della cinta serviana.
Nella domus, sembra che sia stato fondato un oratorio nel I secolo, nel quale fu istituito il “Titulus Sabinae”  in  onore della  martire  decapitata,  durante  le  persecuzioni  dell’imperatore  Adriano (117-138).
Sotto Celestino I (422-432) e, in seguito sotto Sisto III (432-440), su iniziativa del vescovo d’Illiria, Pietro, fu edificata la prima basilica sopra il Titulus Sabinae, con aula absidata a tre navate. Il mosaico della controfacciata ne è testimone. I lavori terminarono intorno al 432.
In questa chiesa fu imprigionato e deposto papa Silverio (536-537), osteggiato dalle autorità bizantine, fino alle sue dimissioni forzate da false accuse.
Leone III (795‐816) la restaurò, offrendo arredi, ed Eugenio II (824-827) la dotò di Schola Cantorum, di Iconostasis, degli Amboni e dotò l’Altare Maggiore di un ciborio in argento che fu preda del sacco di Carlo V (1519-1558) del 1527. Eugenio II fece traslare, dalle catacombe della via Nomentana, le reliquie dei martiri Alessandro, Teodulo ed Evenzio che furono deposte nella cripta della nostra chiesa.
Già nel X secolo i monasteri sull’Aventino si erano fortificati dietro mura e torri difensive. Il nostro monastero non fece eccezione.
Nel XIII secolo, la famiglia Crescenzi ed, in seguito, i Savelli ricostruirono le fortificazioni della basilica e del convento aggiungendo un fortilizio che assunse il ruolo di Rocca dei Savelli, di cui rimane larga traccia nel giardino pubblico, oggi detto “degli Aranci”, accanto alla basilica, .
In questo luogo, nel 1219, papa Onorio III (Cencio Savelli – 1216-1227) ricevette
San Domenico di Guzmán (1170-1221), fondatore dei Domenicani e ne approvò le regole.
Nel 1220, con l’accordo di Onorio III, che concedette loro anche parte del palazzo pontificio (Rocca dei Savelli), i Domenicani si trasferirono dalla chiesa di San Sisto Vecchio a quella di Santa Sabina, permanendovi tuttora.
Nel 1441, fu creato l’attuale ingresso laterale alla basilica e due finestre bifore, di stile gotico, nell’abside, dal
cardinale titolare Giuliano Cesarini (1398-1444).
Il
cardinale Ottone di Walburg (1514-1573), titolare, intraprese lavori di restauro della basilica e, in particolare, quelli dei mosaici del V secolo. Solo per il catino dell’abside, definitivamente degradato, fu chiesto, nel 1560, a Taddeo Zuccari (1529-1566) di riprodurre il mosaico antico su forma di affresco aggiungendo, sul lato destro, i Santi Domenicani.
Sotto Sisto V (Felice Peretti – 1585-1590), nel 1587, ad opera dell’architetto
Domenico Fontana (1543-1607), la basilica subì interventi che comportarono la perdita di molti elementi dell’epoca medievale.
Le modifiche più importanti, effettuate, furono: lo spostamento dell’altare maggiore, che fu rialzato insieme al presbiterio, la soppressione della “Schola Cantorum”, i cui plutei furono impiegati nella nuova pavimentazione, la chiusura delle finestre dell’abside, l’eliminazione dell’iconostasi. Fu tolto, inoltre, il soffitto ligneo ed alcune finestre della navata centrale furono tamponate (forse per la stabilità dell’edificio) e fu creato un Altare delle Confessioni, dedicato a San Domenico, accessibile da una scala posta al centro della navata.
È segnalato un intervento, all’interno della chiesa, di
Francesco Borromini (1599-1667) nel 1643.
Nel 1870, i Domenicani dovettero lasciare il monastero, sotto esproprio delle autorità italiane, che lo trasformarono in un ospedale per malattie infettive.
Nel XX secolo, i Domenicani recuperarono una parte del monastero, in cambio della sede della procura generale del loro Ordine, che era in via di San Sebastianello 10, presso Piazza di Spagna.
Nel 1894, venne effettuata una campagna di ricerche dei reperti di epoca carolingia dall’archeologo e storico dell’arte Ferdinando Mazzanti (1850-1899) che ritrovò, in particolare nel pavimento del presbiterio, una serie di pezzi di paliotti della Schola Cantorum, che erano stati impiegati capovolti, all’epoca dell’intervento di Domenico Fontana.
Il Mazzanti riunì tutti i reperti ritrovati, a cui aggiunse il riquadro di paliotto che era da sempre rimasto nell’atrio della chiesa, e ne studiò le decorazioni, riunendo una documentazione completa che risultò fondamentale per gli interventi successivi.
Nel 1906, Ettore Poscetti, scultore-marmoraro, realizzò un nuovo altare maggiore, sormontato da un ciborio di stile cosmatesco.
Dal 1914 al 1919 e dal 1936 al 1938,
Antonio Muñoz (1884-1960), come aveva fatto nella chiesa di Santa Balbina, rimosse tutte le aggiunte che si erano succedute dopo il periodo medievale, ivi compresi l’altare maggiore ed il ciborio realizzati nel 1906, e ricostituì, con materiali di scavo, gli arredi, come la “Schola Cantorum”, utilizzando l’insieme dei paliotti ritrovati da Ferdinando Mazzanti e le finestre della navata centrale, allo scopo di ricostituire la chiesa nel suo aspetto originale del V secolo.
Gli affreschi dell’abside, che erano stati eseguiti da Taddeo Zuccari (1529-1566) nel 1560, al posto del mosaico originale del V secolo, furono riprodotti, sulla base di disegni di Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698) del mosaico originale (oggi perduti), da
Vincenzo Camuccini (1771-1844) nel 1836. Muñoz li lasciò, come li vediamo oggi.

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