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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza de’ Cenci ed Arco de´ Cenci (R. VII – Regola) (Via dell'Arco de' Cenci; Via Beatrice Cenci;  insieme a Via Monte de' Cenci)

Il nome “Cenci” attribuito alla piazza, alla vie ed all’arco deriva dalle case che questa famiglia vi aveva fin dall’XI secolo e che si estendevano fino al Tevere, comunicanti fra loro.

Sul così detto Monte Cenci, formatosi con le rovine del teatro di Balbo [1] e col trasporto di materiali di scarico, i Cenci [2] eressero prima una rocca che dominava tutta la regione Arenula e che si trasformò poi in palazzo sulla piazza omonima.
Una torre con altana, distaccata dalla rocca sul Monte Cenci, fu atterrata per il passaggio del Lungo Tevere.

Via Monte Cenci - È la via che attraversa la breve altura formata come già detto per l’accumulo delle rovine della “Crypta et Theatrum Balbi [3]”.  Qui fu rinvenuto il gruppo dei Dioscuri, adesso in capo alla cordonata capitolina: “apud ecclesiam San Tomae non longe a platea judeorum”.

Vicino appunto a Piazza Giudea, oggi scomparsa, e nella quale sfociava la via di Monte Cenci, si trova la chiesa di San Tommaso già detta: “S. Thoma in Foro Iudeorum”; “S. Thoma de Merchatello”; “S. Thoma de capite molarum” in rapporto agli antichi aquimoli [4] del Tevere [5]; e infine “S. Tommaso de Cinciis” o “ai Cenci”.  Fu infatti adottata come cappella palatina dei Cenci e dei Bulgamini (probabilmente imparentati con i Cenci)  già all’epoca dell’edificazione primitiva dei palazzi.
Da un’iscrizione in loco si apprende infatti che nel 1114 già un altare “...renovatum est per manus Petri archipresbiteri atque dicatum per manus Cencii Sabiniensis Episcopi”. Fu questa chiesuola, celeberrima nel medioevo perché residenza ufficiale del “Caput romanae fraternitatis” (fratellanza del Clero) e perfino dell’“archisacerdos”, il che dimostra l’importanza giuridica di questa famosa fratellanza sulla cui costituzione rimane ancora molto da scoprire [6].

Davanti alla chiesa di San Tommaso [7] sono due cippi con iscrizioni della famiglia Cincia. Uno con dedica “Cincio Saliandro” (scomparso) e l’altro con l’iscrizione “M. Cincius Theophilus Vestiarius ecc.” (di cui è rimasto solo un frammento), che avrebbero dovuto provare la discendenza dai Cinci, di quei Cenci, che il popolo allora identificava con le peggiori calamità:

“Orsin, Colonna, Cenci e Frangipani [8]
Riscuoton oggi e pagano domani,
Più assai che peste, papa ed Imperiali
Più a Roma sono assai crudi e fatali.
Più assai che fame, Galli e Aragonesi,
Savelli Orsini, Cenci e Colonnesi.

In uno dei sopraddetti cippi, secondo una tradizione popolare, sarebbe sepolto un terribile cane, prediletto da quel Francesco Cenci che fu ucciso dalla moglie Lucrezia e dai figli Giacomo e Beatrice [9].

Nella chiesa [10] fu battezzata quest’ultima nel febbraio del 1577 e vi trovò sepoltura, nella cappella di San Francesco, il corpo di Giacomo, squartato dal carnefice.
Il quadro del Santo fu da Giacomo dato alla Chiesa col suo testamento del 10 settembre del 1599 (Pala dell’altare maggiore) e l’effigie del padre assassinato è stata ritratta da Giuseppe Vermiglio (1585-1635) nella figura affrescata di S. Pietro.

Le corree di  Giacomo (Beatrice e la matrigne Lucrezia) furono invece sepolte: Beatrice a S. Pietro in Motorio e Lucrezia Petroni in Cenci a “S. Gregorio de ponte iudacorum” o “della Divina Pietà [11]”, presso ponte quattro capi [12]

Il largo della via di Monte Cenci, ch’è al culmine della collinetta, si leva a circa 27 piedi sopra il piano antico, e la Piazza Giudea, scomparsa, era a 18.

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[1] )           Attualmente è accertato che “le rovine” debbano intendersi quelle del “Circo Flaminio”.

[2] )            Prossima all’Arco de’ Cenci, la chiesa di S. Caterina de’ Cenci, ora demolita, con l’annesso monastero. Dice l’Armellini nelle Chiese di Roma: “Così trovo in un documento del secolo XVI dell´Archivio della S. Sede al Vaticano, ove si nota che v´era alla chiesa congiunto un monastero”. L’espressa denominazione alli Cenci non lascia dubitare circa il sito preciso del suddetto oratorio e monastero oggi scomparso, il quale doveva sorgere presso il palazzo di quella famiglia, non lungi dalla riva del Tevere. Del resto, non mi fu dato del medesimo trovare altre notizie.”.

[3] )            Attualmente è accertato che “le rovine” debbano intendersi quelle del “Circo Flaminio”.

[4] )            Mulini.

[5] )            Una curiosa usanza romana: “quando il grano appena macinato veniva portato ai fornai, dagli acquimoli, erano i muli che lo trasportavano in lunghi cortei, i quali attraversavano la città di gran corsa, lasciando spesso malconci i cittadini, specialmente nelle strette viuzze della Roma d’allora. Il conducente, munito di una lunghissima frusta, spingeva avanti a sé le bestie legate insieme con una corda, che dalla coda di uno passava al muso dell'altra".

[6]               Risulta che la “Romana fraternitas” ed i suoi rectores quali rappresentanti del clero della città, erano deputati e costituiti come tribunale giudicante e condannante delle più gravi cause ecclesiastiche.
È noto che questa fratellanza ed associazione religiosa era composta di soli preti della città, i cui rettori erano i rappresentanti, tutori e padroni di tutto il collegio, che del medesimo custodivano i diritti e tutelavano i privilegi.
È da credere che le origini siano antichissime, e si colleghino agli stessi collegi e sodalizi funebri dei primi secoli del cristianesimo.
Per la creazione dei rettori (Ciascun gruppo di quattro rettori aveva due officiali subalterni chiamati nuntii (nuczuli), forse gli odierni “mandatari” delle confraternite), tutta la città si divideva in tre parti (La prima - Duodecum Apostolorum; la seconda - Sanctorum Cosme et Damiani; la terza - Sancti Thome (caput Romae fraternitatis) e comprendevano tutte la chiese di Roma), in ciascuna delle quali si comprendevano: quattro chiese che avevano quattro chierici eletti, e così dodici i rettori di tutta la fratellanza.
L’unica epigrafe che ricordi il “rector romanae fraternitatis” è un’epigrafe metrica esistente nella chiesa di S. Salvatore de Cupellis o de Cuppellis in via delle Coppelle, epigrafe datata dal tempo di Celestino III (1191-1198).

[7])              Il corpo del Santo apostolo è custodito nella cattedrale di Ortona a mare, portatovi nel 1258 dall’ammiraglio ortense Leone Acciaiuoli.

[8] )             Nel 725, durante un’inondazione, uno della famiglia Anicia, a nome Flavio, entro una piccola barca, andava distribuendo pane ed il grido del popolo: “Frange nobis panem” sembra gli rimanesse per nome. Si credeva discendente della “Gens Anicia” del tempo dell’Impero.

[9] )        Lucrezia Petroni  (+1599 - vedova Velli, moglie di Francesco Cenci),  Beatrice (1577-1599), Giacomo (1568-1599) e Bernardo (1581-1626) Cenci (figli di Francesco Cenci e di Ersilia Santacroce) furono accusati dell’omicidio di Francesco Cenci, in combutta con altri due personaggi: Olimpio Calvetti, castellano della rocca di Petrella (dove il crimine fu consumato) e Marzio Catalano (contadino dei Cenci cooptato dal Calvetti per l’omicidio). Ulisse Moscato fu il giudice vicario nominato per il processo; Pompeo Molella (+1608) fu il pubblico ministero [luogotenente criminale del Tribunale del cardinale vicario Gerolamo Rusticucci (1588-1603)]; mentre Prospero Farinacci (1544-1618) fu l’avvocato difensore.
Lucrezia, Beatrice, Giacomo Cenci e Marzio Catalano furono giustiziati, mentre Bernardo fu graziato in ragione della tenera età (aveva 17 anni al momento dell’omicidio). Olimpio Calvetti riuscì a fuggire da Roma, ma, pochi mesi dopo, fu ucciso, a sua volta, in un agguato

[10] )             Nel prospetto, memoria di Francesco Cenci di Cristoforo che donò suppellettili e restaurò la chiesa nel 1575, anno giubilare.

[11] )           La chiesa si chiamò così quando Benedetto XIII (1424-1430) dette “L’ecclesiam Beati Gregori de Urbe ad pontem quattuor capitum”, nel 1727, alla Congrega della Divina Pietà che esercitava la sua azione benefica verso nobili e benestanti, caduti in miseria.

[12]             Località chiamata in quel tempo: ”Trivio de’ Macelli  della mala carne” e la Chiesa “si ha per antica tradizione et massime dal quondam padre Gaetano benedettino e dal quondam padre Lupo domenicano essere stata la casa ove Santa Silvia partorì detto Santo (San Gregorio Magno). Questa chiesa si vede eretta sopra portici, antichi sotterranei, vicini a molte case in riva al Tevere, le quali dimostrano gli stessi portici e volte fortissime dove erano le case degli Anici, i quali poi furono chiamati i Frangipani da quali nacque Giordano senatore di Roma padre di San Gregorio Magno, il quale fu padrone di queste et altre cose a S. Saba, vicino a porta S. Paolo et al monte Celio....”.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza Cenci
- Monte de´ Cenci
- Vicolo dei Cenci
- Via Beatrice Cenci

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Via Beatrice Cenci

La via più povera di ricordi per la famiglia Cenci, ha, però sullo sfondo, il palazzo Cenci nella omonima piazza.

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