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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via della Navicella (Monti-Celio) (da Largo della Sanità Militare a Piazza di Porta Metronia)

Sulla Piazza, la chiesa di Santa Maria in Domnica, che ha preso la denominazione di Santa Maria della Navicella, da quella nave in marmo che sta avanti al tempio e che fu fatta ricopiare da Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521), da una più antica.

Questa navicella, che alcuni credono essere un ex voto di militi appartenenti ai “Castra Peregrina[1], ed altri invece un segno di dominio postovi dal Capitolo di S. Pietro in Vaticano, che possedeva questa parte del Celio, è adesso nel mezzo della piazza proprio avanti alla chiesa.

La chiesa, che conserva ancora il titolo precostantiniano, è tradizione, sia stata la casa di S. Ciriaco, (il “dominicum”) [2], e fu la prima tra le “Diaconie”, dove S. Lorenzo avrebbe distribuito, prima del martirio, i beni della Chiesa ai poveri.

Sino al 1000, pare fosse una diaconia cardinalizia (arcidiaconia), titolo del cardinale arcidiacono e camerlengo che vi risiedeva.

La chiesa, nella vita di Pasquale I (817-824) che ne fu il ricostruttore, è detta “olim constructam” ed è a cura di questo Pontefice che fu ampliata ed ornata anche del mosaico dell'abside [3], come risulta dal sott’arco, nel quale è il nome monogrammatico di "Paschalis”.
Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo - 1484-1492), Leone X (Giovanni de´ Medici - 1513-1521), il cardinale Ferdinando de’ Medici (1562-1589) [4] vi fecero abbellimenti e riparazioni.
Fu appunto dopo il restauro, fatto da quest'ultimo, che fu sistemata la Piazza, collocandovi nel centro la navicella, copia di un vascello votivo, così com’era usato in antico [4bis].

La chiesa di Santa Maria in Domnica (grecamente Kyriaka) ebbe il portico su disegno di Raffaello e si afferma che v’ebbero parte Michelangelo ed il Bramante.[5]

A destra della chiesa, proprio sulla Piazza dov'è l'ingresso della villa Celimontana (Mattei), c’è un complesso monumentale che appartenne alla villa dei Giustiniani, poi Massimo e Lancellotti, ch’era prossima al Laterano (nell'attuale via Boiardo) e che fu donato al Comune dai Lancellotti stessi nel 1885.

Le fondazioni della “statio V cohortis vigilum[6] sono state rinvenute proprio davanti l’ingresso della villa Celimontana, di fronte ai “Castra Albanensia” o “castra peregrina [7]”.

Tutta la regione del Celio, trascurata prima e devastata poi dai barbari ed in ultimo da Roberto il Guiscardo [8], nel 1085, rimase abbandonata quasi del tutto per circa due secoli.
Riedificate le vicine chiese, la zona bonificata fu coltivata intensamente a vigne.  Nel secolo XV, i Pallucelli, proprietari del posto, negli scavi che un po' tutti facevano in quei terreni, estrassero i marmi che poi sotto Paolo III (Alessandro Farnese - 1534-1550) servirono ad ornare la sala regia in Vaticano.

Il terreno della villa Celimontana fu acquistato da Giacomo Mattei, della famiglia trasteverina discendente dai Papareschi, nel 1553. Dopo, l'ereditò un Paolo e, alla sua morte, disse il diarista: “1592 - marzo 4 - Lunedì notte morì il signor Paolo Mattei ricco di 300.000 scudi et in testamento lascia al cardinale Mattei la sua villa di 1200 scudi d'entrata l'anno, con la metà della casa, il resto tra li signori Ciriaco, che comincia a levarsi et il signore Asdrubale con belli legati pij et remunerazione ai suoi servitori”.

Fu  Ciriaco  che  trasformò  la vigna in sontuosissima villa [9],  spendendoci  oltre  60.000 scudi (enorme per quei tempi). Vi piantò querce (a ricordo di quelle che avevano dato il nome di “querquetulanis” al Celio che, come dice Tacito, “era di querce selvoso e fecondo”).

Un’altra ipotesi del nome Celio è che: "Fu chiamato Celio da Caele Vibenna capitano d’Etruschi che, chiamato e venuto in aiuto, aveva avuto quelle stanze da Tarquinio Prisco [10], od alcun altro de’ re".

Il Mattei, abbattute vecchie case esistenti, vi fece costruire una residenza signorile da Giacomo Del Duca (1520-601). Sparse marmi antichi e statue, nella villa [11], e regalatogli dal comune di Roma (1582), v’innalzò l'obelisco di Ramesse II (XIV-XIII sec. a.C.) detto Sesostri, contemporaneo di Mosè, obelisco proveniente dall’Iseo Campense e che era stato fino ad allora un gradino avanti all'Ara Coeli. L’obelisco è adesso in due pezzi: quello antico, con geroglifici è innestato sull'altro più grande e moderno.

Quando fu posto in opera, nel calare il troncone superiore dell'obelisco, si ruppero le corde e la massa cadde pesantemente su quello inferiore stroncando ad un operaio le mani che vi rimasero per sempre fra un troncone e l'altro.

La villa, dalla magnificenza e dalle feste e convegni della nobiltà tutta che vi si recava giornalmente, decadde e, spogliata delle sue opere migliori, passò ai vari proprietari: don Manuel Godoy detto principe della Pace [12] nel 1820; al marchese Stefanoni nel 1843; alla principessa dei Paesi Bassi nel 1856 ed in ultimo al barone von  Hoffman  che  ne fu espropriato (per il sopraggiungere della  prima guerra mondiale) dallo Stato che la donò al comune di Roma perché la destinasse a pubblico passeggio.

L'arco, che servì all’acquedotto dell’acqua Marcia e poi della Claudia, alzato nel 12 a.C. dai consoli Dolabella e Silano, cavalcava il proseguimento del Clivius Scauri, per giungere al palazzo dei Valeri, ed al Macellum Magnum.
Questo aveva l’entrata dal lato della città, appunto nella via che passava davanti a Santa Maria in Domnica.

La strada della Navicella ha, sulla destra, quella che fu una delle 20 abbazie privilegiate di Roma: San Tommaso in Formis.
L’abbazia (subito prima il fornice di Dolabella) era sorta, almeno nell'XI secolo, nel posto dove erano i “Castra Pellegrina”. Fu concessa da Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216) al beato Giovanni de Matha, il cui corpo vi fu venerato fino al 1655, quando “tolto da alcuni dell'ordine dei Trinitari, altri dicono di no, ma certo fu tolto e condotto in Ispania” (Armellini).

L'Abbazia ebbe fra i privilegi concessi da Onorio III (Cencio Savelli - 1216-1227), nel 1217, “portam integram quae libera sive latina dicitur cum omni partatico suo et redditum qui a transeuntibus solet dari”.  Dallo stesso papa ebbe concessi i proventi daziarii di Porta San Sebastiano.

Vi fu annesso anche un grande ospedale, ma oggi, di quella che fu la culla dei Trinitari della Redenzione [13], restano i ruderi del convento e la parte monumentale del medesimo (XIII sec.) con un mosaico che ha l'epigrafe: "Magister Jacopus cum filio suo Cosmato fec. Hoc opus”.

Dopo l'allontanamento dei padri del Riscatto (sull'arco del portale è scritto: Signum ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum) fu eretta in commenda cardinalizia finché, nel 1395, Bonifacio IX (Pietro Tomacelli - 1389-1404) la unì al capitolo di S. Pietro in Vaticano che, nel 1633, fece restaurare la chiesa.

Sul fornice di Dolabella si venera una celletta nella quale dimorò il fondatore dei Trinitari: San Giovanni di Matha [14].

Sotto S. Tommaso in Formis, nasce una sorgente che, attraverso la villa Celimontana, scende nella Valle Egeria ed affluisce poi nella Marrana, restaurata da Callisto II nel 1122.

Questa sorgente [15] sarebbe stata identificata per quella che alimentava la fonte delle Camene [16], e che Marziale nelle “Satirae” (III,11), dicendo della partenza dell’amico Umbrizio, da lui accompagnato fino a Porta Capena, così ne scrisse: “Mentre i bagagli vengono caricati sopra un carro (Umbricio) si arresta presso i vecchi archi (dell'acquedotto) e l'umida Capena. Qui dove Numa s’incontrava di notte con l’amica Ninfa".
"Ora, il bosco (Lucus Camenarum) che racchiude la sacra fonte e il silvestre tempietto, sono dati in affitto ai Giudei che hanno per unica suppellettile un canestro e un po' di fieno. Non vi è infatti neppure un albero che non sia sfruttato per spillare danaro al popolo, onde, cacciate le Muse, la selva è diventata un covo di mendicanti. Discendiamo nella valle di Egeria, verso quelle spelonche così dissimili dalle rupestri. Quanto sarebbe più grande il fascino delle acque, se intorno alla fonte crescesse il vellutello e se il tufo naturale non fosse violato dal rivestimento marmoreo”.

La costituzione geologica del Celio, che particolarmente per le sabbie, che si estendono nelle propaggini del "Clivus Scauri" e della villa Celimontana, dà luogo a sorgenti che oggi ancora affiorano nella parte bassa della villa stessa e nell'attuale semenzaio comunale, devono aver alimentato in antico, oltre la fonte Camene anche quella di Mercurio [17], dove si recavano i mercanti del vicino foro Boario per lavarsi dai loro spergiuri, come scrive Ovidio nei fasti V: “ablue praeteriti periura temporis; inquit ablue, praeterita perfida verba die”.

Oltre la fonte delle Camene e di Mercurio, si ricordano in questa zona: un fons Palatinus” presso la Porta Trigemina (Aventino) e la “Piscina pubblica” presso la Porta Capena.

Proseguendo, la via della Navicella si tralascia a sinistra un avanzo dell'acquedotto Claudiano [18] ed il muro di cinta del “Macellum Magnum” che aveva l'ingresso da questa parte ed ora è sulla via di Santo Stefano Rotondo e più oltre vi è l'area già occupata dalla Chiesa e dal convento di Sant’Erasmo (via S. Erasmo).

Haveva questo santo in Roma un monastero famoso dedicato a lui nel monte Celio; nel quale “in Minoribus” fu nutrito Adeodato II (fu il primo papa che iniziò le lettere con le parole: “salutem et apostolicam benedictionem”), il quale salito al pontificato (672-676) vi fece molte opere buone” .
In questo monasterio, dai scellerati Pasquale Primicerio e Campullo Sacellario, fu messo in prigione Leone III papa [19] (795-816), dopo che l'ebbero privato della lingua e degli occhi, che gli furono da Dio miracolosamente restituiti”.
Qui fece il medesimo Leone una bella veste e una campana d'argento di libbre quattro e once due, e Gregorio IV (828-844) un'altra ricca veste”. (Armellini)

Questa Chiesa anticamente apparteneva all'abbazia di Subiaco, come si vede nei registri antichi di quel sacro luogo”. (Lonigo  Michele – XVII sec.)

E Giovanni Antonio Bruzio (+ 1692) scrive: “Era un cenobio presso Santo Stefano eretto da San Benedetto (480-543) con una Chiesa a quel martire dedicata dallo stesso S. Benedetto”. “V'era la casa di Tertullo dove dimoravano Placido, Vittorino, Eutichio e Flavia suoi santi figli. Ai tempi di Gregorio XI (Pier Roger de Beaufort - 1370-1378) v’erano le Monache Benedettine, come risulta da un documento dell'archivio di Subiaco,  e dopo la  privazione  dell’abadessa Giovanna, che fu tradotta alla curia del vicario di Urbano V (Guillaume de Grimoard - 1362-1370) perché rea di gravi delitti, ritornò di nuovo in possesso dei monaci di Subiaco, ma avendo al Papa riappellato la detta abadessa furono di nuovo reintegrate le monache (1372)”.

Flavio Biondo (1388-1463) scrive che ai suoi tempi la chiesa ancora esisteva presso gli archi neroniani vicino a Santo Stefano Rotondo, e Pompeo Ugonio (ultimo scorcio del XV secolo) dice che stava a mano manca vicino all'entrata di detta chiesa. Vi si rinvennero suppellettili domestiche ed oggetti diversi appartenenti al palazzo dei Valeri, distrutto da Alarico (410). Fra gli oggetti ivi rinvenuti era una lampada  cristiana  di  bronzo a forma di nave [20] colla scritta sull’albero “Il Signore dà la legge a Valerio Severo[21].

A proposito di Sant’Erasmo è pure scritto che fino al sec. IX, non lungi dal Laterano, era il monastero di S. Erasmo  che sorse sopra le rovine  dello “xenodochium Valeri o a Valeris”, fra il VI ed il VII sec.

Pure sul Celio, verso il Palatino, sulla salita del colle fra il Colosseo ed il Circo Massimo, si alzava la “domus gentis Aniciae” (chiesa di San Gregorio al Celio) che abitarono prima i giardini del Pincio, venuti poi in proprietà di Anicio Petronio Probo, ed ebbero la sepoltura nel cimitero sotterraneo di S. Priscilla.

Diaconie - Dal secolo VI e VII [22] sono aperte nel centro della città le diaconie (una ogni due regioni) che erano destinate alla distribuzione delle elemosine, alla cura degli infermi e dei bisognosi, ed allora anche pubblici edifici furono concessi dall’autorità per l’erezione delle chiese diaconali.

Infatti mentre i titoli erano in luoghi diversi ed anche remoti della città, i centri diaconali, per le loro distribuzioni caritatevoli, che avevano qualche somiglianza con le “frumentatio” imperiali, si raccolsero di preferenza vicino agli “Horrea publica” cosicché gli “Horrea ecclesiae” si avvantaggiavano di questa prossimità, quando gli “Horrea” imperiali erano ancora efficienti. Questi luoghi di beneficienza, benché per le cose spirituali fossero affidati ai sacerdoti, furono amministrati anche da laici ma specialmente da diaconi che prendevano il titolo dalle regioni (diaconis regionis primae, secundae, ecc).

Fu da Pasquale II (Raniero Ranieri - 1099-1118) che i diaconi, avendo la sorveglianza speciale di quei luoghi, presero il titolo delle chiese annesse e così diaconus S. Angeli; S. Nicola ecc.

____________________

[1]               In epoca romana, di fronte alla chiesa di S. Maria in Domnica, proprio sotto la chiesa di Santo Stefano Rotondo, era una caserma di soldati (castra peregrinorum) , provenienti dalle provincie e incaricati del servizio di “informazione” per la sicurezza delle istituzioni e dello Stato, i cui resti sono venuti in luce nel XIX secolo.

[2] )            Titolo nel IV secolo, trasferito poi a S. Maria in via Lata.

[3] )            La più alta affermazione musiva della Scuola Romana del IX secolo.

[4] )            “Dive Virgini Templum in Domnica dirutum Io. Medices Diac. Card. Instauravit”.

[4bis]          Procopio (VI sec.) dice di aver visto, nell'isola di Corcina, la nave di marmo con la quale Ulisse navigò ad Itaca, ma vi lesse l´iscrizione che diceva essere un dono votivo offerto a Giove Casio. Afferma poi, di aver similmente ammirato la nave mitica di Enea, che era ancora conservata nell'arsenale sulla sponda del Tevere, e che egli descrive lunga 120 piedi e larga 25 ad un sol ordine di remi. Dice che le assi erano unite con arte, senza arpioni, e che la chiglia era formata da uno smisurato tronco di albero lievemente curvato, ed afferma che quell'opera “oltrepassa ogni concezione e che quella nave famosa sembrava  costruita da poco, senza che, dopo tanti anni, si vedesse traccia di deperimento”.

[5] )            Dice il Vasari che il Bramante giunse in Roma “innanzi lo anno santo MD”. Infatti abbandonò Milano alla caduta di Ludovico il Moro.

[6] )            V coorte - La I Regio (Porta Capena) e la II (Caelimontium) erano tutelate dalla V coorte alloggiata dov'è adesso l'ingresso della villa Celimontana (in via della Navicella), ivi, nei lavori di fondazione del nuovo portale, furono vedute sei piccole stanze ed un'altra serie di stanze che completavano le scoperte fatte nel 1820, quando, con altri numerosi ambienti, vennero in luce due grandi basi marmoree con i nomi degli ufficiali e dei militi che negli anni 205 e 210 le avevano dedicate all'imperatore Caracalla.

[7] )            Entro i Castra un « templum Iovis Reducis » eretto da un centurione, Dominio Basso, verso la metà del terzo secolo. Altro tempio vi era dedicato ad Iside regina ed un'edicola al “Genius castrorum”.

[8] )            Sul suo sepolcro a Venosa fu scritto: “Hic terror mundi Guiscardus. Hic expulit urbe quem ligures regem, Roma alemannus habet. Portus, Arabs, Macedumque phalanx non teri Alerim, at fuga; sed Venetum nec fuga, nec pelagus” (Qui giace il Guiscardo, terrore del Mondo. Scacciò da Roma i re di Liguria e di Germania. Ne le falangi Parte, ne le Arabe ne le Macedoni, salvarono l’imperatore Alessandro I Camneno, ma la fuga. Ne la fuga, ne il mare salvarono i Veneziani).

[9] )            Durante il giubileo (1575), il pellegrinaggio delle sette chiese, aveva una fermata abituale a villa Mattei sul Celio "dove ponendosi ciascuno sull'erba a sedere con grandissimo ordine e silenzio parcamente prendeva il cibo, essendo a ciascuno previsto con molta carità di pane, vino, uova, e qualche frutto sobriamente".

[10] )           Emigrato dall’Etruria (Livio I, 34).

[11] )           Fu tappa nella visita delle sette chiese.

[12] )           1767-1851 - fu cosiddetto perché firmò il trattato di Basilea (1795).

[13] )           L'Ordine fu fondato nel 1198, si chiamarono anche Maturi dal nome del frate San Giovanni de Matha, che lo fondò in Francia, insieme a San Felice de Valois, per il riscatto dei prigionieri ch'erano in mano degli infedeli. I Trinitari si divisero poi in riformati; scalzi del 3° ordine; e delle trinitarie. Pochi monasteri Mercedari son rimasti oggi. A San Crisogono in Trastevere è la scuola dei Mercedari.

[14] )           Morto nel 1213.

[15])           Non vi è dubbio che questa sorgente debba identificarsi con il fons Camenarum di Frontino e con l’Acqua Fontalis ab Camenis di Vitruvio.

[16])           Consacrato a loro da Numa (Livio I, 21) (Vicus Camenarum), ivi il lucus Camenarum ed il loro tempio  e l’altro alla Ninfa (ora via di Valle delle Camene).

[17])           Era ritenuta particolarmente salutare.  Aveva le sorgenti in comune con il fons Camenarum e aveva, sotto il Celio, 9 serbatoi che raccoglievano le varie polle, capaci di 200 once. Altre cinque uguali sotto l'orto di San Gregorio e poi, proseguiva il corso parallelo al Circo Massimo fino a Santa Anastasia dove era raccolta in due ampi bacini ma non ne conosciamo lo sbocco. Al presente, dalla via dei Cerchi prosegue fino alla valletta di S. Giorgio, terminando nella Cloaca Massima.

[18])           Un grande pilastro in laterizio. La località, in cui gli archi si incastravano con il recinto del tempio di Claudio, era detta “Aqu(a)eductium”.

[19] )           Nella notte del Natale dell'800 fece risorgere il Sacro Romano Impero coronando Carlo Magno con le parole: “A Carlo piissimo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria”.

[20])           Ora negli Uffizi di Firenze.

[21])           Tra le memorie domestiche degli Aradi Rufini Valeri Proculi, del sec. IV, furono trovati: 5 diplomi incisi nel 321 e 322 in onore di Q. Aradio Valerio Proculo, basi di statue in suo onore e la lampada descritta nonché alcune suppellettili domestiche.

[22])           Già dal secolo IV si notano preti dimoranti negli edifici attigui alla chiesa e incaricati della distribuzione dei sacramenti: questa specie di parrocchie si chiamavano “titula”.
Papa Fabiano (236-250), nel 238, destinò alle regioni urbane 7 diaconi e 7 suddiaconi, mentre Clemente I (88-97) vi aveva posto 7 notari per raccogliere gli atti dei martiri.
Papa Fabriano (236-250) “regiones divisit diaconibus” ed il successore S. Cornelio (251-253) scriveva che la comunità cristiana di Roma, aveva un clero, composto di 155 persone, che manteneva e nutriva insieme con altre 1500 vedove e poveri”.

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Lapidi, Edicole e Chiese lungo la via:
- Chiesa di Santa Maria in Domnica - Interno
- Chiesa di Santa Maria in Domnica - Lapidi
- Villa Celimontana (ex Mattei)
- Largo della Sanità Militare
- Via di San Paolo della Croce

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