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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via Bonella (oggi Via della Curia) (R. X - Campitelli) 

La via Bonella, che nel suo brevissimo percorso collega oggi il Foro Romano alla nuova via dei Fori imperiali, giungeva, prima della costruzione di quest’ultima (dicembre 1931-ottobre 1932), fino all’arco dei Pantani, all’altezza della via Alessandrina [1].

Entrando in via Bonella dalla parte del Foro romano, si ha sulla destra la “Curia Julia” ed a sinistra il “Secretarium Senatus”, oggi divenuto la chiesa di Santa Martina.

Sotto questo breve tratto v’era l’“Atrium Minervae” che occupava lo spazio tra i due suddetti edifici, e adesso scoperto dal Bartoli [2] solo in minima parte.

Un poco più avanti, immediatamente dietro la Curia, si vede, incompleto nello scavo, l’ “Atrium Libertatis” (fiancheggiato dall’Argiletum).

La “Curia Julia[3], era stata adattata da Papa Onorio I (625-638) al culto in onore di Sant’Adriano, forse con l’erezione di un solo altare.

Fino al secolo XII, le adunanze dei “patres” continuarono a tenersi nell’aula del senato, come risulta dalle date poste dal “Secretarium Senatus” sugli atti giudiziari dei senatori “qui positi erant ad S. Martinam ad iustitiam discernendam”,  anche se già Adriano I (772-795) aveva fatto costruire il recinto della “schola cantorum” al centro dell’aula.

I tre gradoni, tuttora esistenti sui lati lunghi della sala [4], alloggiavano i circa 300 seggi di legno senatoriali che furono conservati [5]. Sulle pareti fu aggiunta qualche pittura come, nel secolo VIII, un affresco votivo di un “consul et dux” ed un’altra pittura più tarda di un “consul et tabellio”.

Così pure nell’aula attuale, sul podio della Presidenza [6], ed aderente alla parete di fondo, dice il Bartoli: “Ho ritrovato, e confesso con viva commozione, lo zoccolo del piedistallo che sorreggeva la statua della Vittoria”.
Evidentemente, Domiziano, nel ricostruire, nel 303, la “Cura Julia[7], la ricopiò esattamente, anche nei dettagli e la statua della Vittoria rimase dove, in origine, l’aveva posta Augusto [8] che l´aveva terminata nel 29 a. Ch..

La dedica di quel simulacro di donna, in piedi sopra un globo, con la veste lunga, le ali aperte, la corona in testa, le braccia levate ed in mano l’alloro, avvenne il 28 agosto del 29 a.C. e commemorata annualmente, come si rileva dal calendario del Maffei: “Hoc die ara Victoriae in Curia dedicata est”.

E poiché i senatori la consideravano oggetto di culto, all’avvento del Cristianesimo, ed anche per giudizio di Sant’Ambrogio (340-397), fu bandita dal Senato l’ara davanti alla statua, ma ancora nel V secolo, dice Claudiano (+408): “L’alata Vittoria, tutrice della toga romana, con la grande ala sua, protegge il venerando sacrario dell’assemblea Patrizia”.

Forse nel saccheggio dei Goti, nel 410, del quale si riscontrano tracce evidenti nella Curia  con  danni  riparati  poi  dagli  stessi  senatori  e  dagli  imperatori  Onorio (395-423) e Teodosio [9] (379-395), la statua della Vittoria tarantina scomparve, mentre la porta in bronzo dell’epoca [10] chiude ancora oggi, con i suoi battenti, l’ingresso principale della basilica Lateranense, ivi fatta collocare dal pontefice Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667).

La Curia fu definitivamente abbandonata dal Senato, con l’istituzione del Comune (1143-1145), quando il Campidoglio diventò la sede della magistratura suprema del Comune di Roma, la quale fino al 20 settembre 1870 continuò a chiamarsi Senato Romano [11].

Come prima detto, la chiesa di Santa Adriano da Nicodemia occupò l’aula senatoriale e fece parte poi di quel gruppo di monumenti adibiti dai bizantini a loro uso [12].

Nel medioevo fu chiamata Santa Adriano in “tribus fatis”  o “in tribus Fori” ed anche “iuxta axylum”: “Tribus fatis” per le “triafata” (le tre sibille) le cui statue si trovavano fra i “Rostri[13] e la “Curia[14] e che secondo Plinio (XXXIV, 22) vi erano state collocate da Tarquinio Prisco (616-578 a.Ch.), insieme con la statua di Atto Navio; per quanto una tradizione le facesse già preesistenti in Campidoglio.

Tarquinio Prisco le avrebbe poste nell’area sacra dell’antico “Comitium[15] consacrato come un templum, perché la leggenda raccontava esservi avvenuto l’incontro tra Romolo e Tito Tazio, dopo il combattimento del Foro.
Infatti gli antichi spiegavano l’etimologia di Comitium col verbo “comire” in relazione al “pactum faedis” stretto tra i due Re, e dice Varrone (De lin. Lat. V, 155): “Comitium ab eo quod coibant eo comitiis centuriatis et litium causa”.

In antico vi si tennero i comizi curiati [16] e per quanto, attraverso i secoli, il terreno abbia subito variazioni sia per estensione che per destinazione, pure l’ultimo comizio popolare tenutovi, del quale abbiamo notizia, fu quello che il 7 agosto del 768, convocato dal primicerio Cristoforo dopo la morte di Paolo I (28 giugno 767), che acclamò pontefice il siciliano Stefano IV (768-772).

Il nome di “tribus foris” le fu attribuito per la sua ubicazione tra i fori di Cesare, di Augusto e quello di “iuxta Asylum”, per trovarsi attraverso le scale Gemoniae [17], a contatto coll’Asylum [18].

Una colonna terminale (trovata presso la chiesa di Sant’Adriano in tribus fatis che risale al VII secolo, oggi nel museo lateranense) porta inciso l’anatema [19] per colui che avesse operato alcunché a danno della chiesa stessa.

Nel 1213 vi furono deposte le reliquie dei martiri Nereo ed Achilleo, provenienti, non si sa, se dalla loro Chiesa (titulus Fasciolae), sull’attuale passeggiata archeologica [20] o se dal cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina.

Un’epigrafe del 1228 diceva dei restauri eseguiti nella chiesa per ordine di Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Tuscolo - 1227-1241) e del rinvenimento allora avvenuto delle reliquie dei martiri Mario e Marta, di Santa Adriano e di tre fanciulli ebrei.

Nella processione dell’Assunta vi facevano stazione popolo e clero, provenienti dalla “Sancta Sanctorum[21], e prima di proseguire per la Basilica Liberiana procedevano alla seconda lavanda dell’immagine acheropita del Salvatore in trono.

Vi sostavano anche le processioni papali, che per rimuovere la calca, operavano quel gettito di monete, descritto da Cencio Camerario (poi Onorio III 1216-1227).

Adriano I (772-795) elevò a diaconia il santuario che nel 1589 passò ai Mercedari di Spagna, dai quali fu restaurato [22].

Nel 1923 il tempio fu acquistato dal governo fascista che incaricò il professor Alfonso Bartoli del ripristino della Curia.

La chiesa di Santa Martina  -  La  parte  sinistra  della  via  Bonella,  come  sopra detto, ha oggi la chiesa di Santa Martina, trasformazione del “Secretarium Senatus”.

Il "Secretarium” era l’archivio del Senato e l’edificio aveva un’aula lunga e stretta, senza colonne e con in fondo un’abside.
Comunicava con la Curia a mezzo dell’Atrium Minervae che fu distrutta con altre parti dell’edificio da Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590) quando tracciò la via Bonella.

Il "Secretarium Senatus”, rinnovato nel 311 dal Prefetto dell’Urbe, Flaviano, lo fu ancora dal prefetto Flavio Annio Eucario Epifanio nel 412, dopo il saccheggio di Alarico (410), secondo quanto diceva un’iscrizione ancora in essere nel XII secolo.

Circa il V secolo, così come altri edifici e templi pagani [23], l’edificio fu trasformato in chiesa intitolata alla martire Martina.
La chiesa, che si trovava allora al piano del Foro, aveva scritto sulla porta questo distico: “Matyrii Gestans Virgo Martina Coronam Eiecto Hinc Martis Numine Templa Tenes”. Restaurata da Adriano I (772-795), fu da Alessandro IV (Rinaldo di Jenne - 1254-1261), dopo un grande restauro, riconsacrata e costituita parrocchia e collegiata.

Nei secoli di mezzo vi abitò pure il vescovo di Porto e nell’alto medioevo, nella chiesa, i Papi vi solevano indossare le vesti rituali, per quelle processioni solenni che, reminiscenza dei trionfi romani, percorrevano ancora la “Sacra Via”.

Da Santa Martina partiva la processione della Candelora istituita, sembra [24], da papa Gelasio I (492-496). Questo Pontefice volle combattere efficacemente le feste Lupercali che l’imperatore  Antemio (467-472) aveva riportate in onore.

Dopo aver, con apposita Bolla tutt’ora esistente, interdetto ai fedeli la partecipazione al rito, istituì la festa della Purificazione detta la Candelora.
In quel giorno, il Pontefice, dopo avere con i cardinali cantata la terza ora [25] nell’officio della Madonna, indossati i paramenti sacri e fatto benedire i ceri dal più giovane dei cardinali preti, si sedeva sulla porta della chiesa e dispensava al popolo i ceri benedetti.
Indi, attraverso l’atrium Minervae si recava in Sant’Adriano in tribus Fatis, dove cantava la sesta ora e, distribuiti anche ai cardinali i ceri, faceva iniziare la processione.

Da qui, il Papa si recava a Santa Maria Maggiore preceduto dal clero e dai chierici delle diaconie della città e seguito dal popolo che numeroso si era radunato sia nella Chiesa che nel “Comitium” antistante. Sulla porta della basilica si toglieva le scarpe e procedeva scalzo fino all’altare maggiore.
Qui, dopo che gli avevano lavati i piedi, intonava il “Te deum” ed assisteva poi alla messa celebrata da uno dei cardinali.

La chiesa di Santa Martina, chiamata anch’essa “in tribus foris” per la sua ubicazione, fu  assegnata agli artisti, nel 1588, da Sisto V [26],.

Da allora S. Luca e Santa Martina diventarono gli eponimi del tempio, e l’Accademia di San Luca, che ha antichissima origine col nome di Collegio dei Pittori prima e di Università delle Arti poi, prese stanza nell’annessa collegiata, (ne è venuta via nel 1931, per la demolizione dei locali annessi alla chiesa, ed è andata ad occupare [27] il palazzo dei Carpegna-Scavolino in via della Stamperia che in quel tratto è diventata piazza dell’Accademia di S. Luca, pur conservando la chiesa di Santa Martina per le sue esigenze devozionali).

Sotto Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) fu rinvenuto, nel tempio, il corpo della Santa titolare ed il Pontefice incaricò della ricostruzione della Chiesa Pietro da Cortona (Berettini 1596-1669).

L’architetto e pittore elevò il santuario a livello stradale moderno, trasformando l’antico ambiente in cripta del XVII secolo, contornata da sedici colonne di paonazzetto, appartenenti forse all’ “Atrium Minervae” o a qualche altro edificio della Curia. È in questa cripta che, sotto un altare di bronzo dorato, sono conservate le reliquie della Santa Martina.

Oggi, dopo i lavori del 1931-1932, l’abside ed i fianchi della chiesa dei Santi Luca e Martina sono perfettamente isolati, in accordo con l’architettura dell’artista seicentesco Pietro Berettini da Cortona.

Atrium Libertatis - La prima biblioteca pubblica in Roma fu creata sotto l’imperatore Augusto, da Asinio Pollione (Bibliotheca Asinii Pollionis), il quale aggiunse 1 o 2 sale ed un portico all’ “Atrium Libertatis”,  da lui totalmente rifatto, per comodo degli studiosi.

L’ “Atrium”, che nel 212 a.C. era servito come sede degli ostaggi di Thurii (presso Sibari) e già restaurato nel 194 a.C. per i danni dell’incendio del 210 a.C., si trovava fra la Curia e la zona dei futuri Fori Imperiali, forse nel lato opposto all’ingresso del foro di Cesare, di fronte al Chalcidico [28].

Era usato come archivio dei Censori ed aveva preso il nome da un’immagine della “Libertas” collocata in una speciale cappella, dinanzi alla quale avveniva la “manumissio per vindictam” degli schiavi.

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[1] )            Via Alessandrina, collegando il Foro Traianeo alla via Cavour, con una carreggiata di circa 8 metri, aveva come limite alla sua sinistra, la balaustra che guarda oggi sui Fori di Augusto e di Nerva (quel tratto della via sussiste ancora oggi).

[2] )            I lavori per il ripristino della Curia, furono assunti dal senatore Alfonso Bartoli che era succeduto a Giacomo Boni, direttore degli scavi del Foro e del Palatino. (Anche il Boni fu fatto senatore dal Re e quando egli morì, venne sepolto sul Palatino).

[3] )            La ricostruzione  della Curia Julia di  Domiziano  e  il  rifacimento  di  Diocleziano,  alla  fine  el  III secolo d.C., sono state riportate alla luce con i lavori durati dal novembre 1930 al marzo 1939.

[4] )            La sala della Curia è rettangolare e misura metri 27 x 18 circa. Ha cioè il lato corto uguale ai due terzi di quello lungo, sicché, secondo il canone di Vitruvio Pollio (fine I secolo a.Ch.), l’altezza era pari alla metà della somma dei due lati di base. Cesare aveva aumentato fino al 900 il numero dei senatori, immettendo accanto al vecchio patriziato, cavalieri, provinciali, ed ex ufficiali, veterani e perfino libertini e liberti, purché meritevoli.

[5] )            Gli ultimi gradoni aderenti alle pareti della Curia hanno una larghezza superiore agli altri due, per facilitare le votazioni che avvenivano tradizionalmente per divisione (Senatori favorevoli da un lato e senatori sfavorevoli dall’altro).

[6]          Senatus consultum – Ogni magistrato superiore, ad eccezione dei questori e degli edili, poteva convocare e presiedere il Senato, dopo aver precedentemente indicato il luogo dell’adunanza. Il presidente come prima cosa “ad senatum referebat”, esponendo cioè la ragione della convocazione e ne proponeva la discussione (sententias exquirere). Per primi davano il loro parere (sententiam dicere) i “consules designati” cioè i consoli eletti ma non ancora in carica, quindi il princeps senatus (una volta era il console  più vecchio che fosse già stato censore) ed in fine proseguivano gli altri in ordine di grado.

[7] )            La tradizione attribuisce la costruzione della prima Curia nel Foro, al re Tullio Ostilio (672-640 a.C.). Questa Curia, fondata da Romolo e costruita dal re Ostilio, dal quale prese il nome, è da alcuni archeologi collocata tra il carcere Mamertino e le Tabernae del Foro Giulio, mentre altri (ed il Bartoli è di questo parere) la credono posta, seppure con orientamento diverso, dove  si trova ora. La prima ricostruzione che conosciamo è quella fatta da Silla dopo l’incendio dell’83 a.C. Ma nel 55 a.C., quando Clodio, ucciso il 20 gennaio del 52 a.C. dai Miloniani presso Boville, fu dai suoi seguaci trasportato cadavere nel Comizio ed ivi bruciato sopra un rogo improvvisato con i sedili dei senatori e gli scranni dei giudici, anche la Curia bruciò, per le fiamme penetratevi e ne restò distrutta. Fu allora il figlio di Silla, Fausto, che la rinnovò (Curia Cornelia) ma la sua durata fu breve, dato che Cesare ne iniziò una nuova. Però la sua morte (44 a.C.) interruppe i lavori appena cominciati e, solo nel 42, furono ripresi dai triumviri e proseguiti poi da Augusto che la inaugurò il 28 agosto del 29 a.C. Riparata dai danni dell’incendio del 64 d.C. da Domiziano, fu ancora ricostruita da Diocleziano, in seguito ad altro incendio sotto Carino, e fu dedicata nel 303 d.C. Anche nel 412 nuovi lavori vi furono fatti dal prefetto urbano Flavio Annio Eucasio Epifanio per riparare i danni dell’incursione di  Alarico. In quell’incendio andò pure distrutto la “Tabula Valeria”, vasta pittura di battaglie rappresentante la vittoria ottenuta da Marco Valerio Massimo Messalla - console nel 263 a.C. - in Sicilia contro Gerone II di Siracusa ed i Cartaginesi. Tavola dipinta, perché sembra fosse stata collocata lungo il fianco esterno della curia e che era coperta, contro le intemperie, da una loggia a tetto. La tribuna dei Rostri cominciò ad apparire nel periodo degli scavi fra il 1827 il 1834 e così pure le basiliche Giulia ed Emilia, raggiungendosi anche in più punti il pavimento imperiale.

[8] )            Quando l’imperatore Costanzo II (337-361) venne per la prima volta a Roma nella primavera del 357, entrando nella Curia Giulia, fece rimuovere l’altare che si trovava sotto la statua della Vittoria,  sembra,  senza  toccare  la  statua.  Poco  dopo  l’altare  era  stato  rimesso  al  posto di prima, o dal Senato stesso o durante la restaurazione pagana di Giuliano (361-363) e vi rimase finché Flavio Graziano Augusto, il marito di Costantia, figlia di Costantino I, poi di Iustina, con un suo decreto del 382, ne ordinava la soppressione in ossequio al volere di Sant’Ambrogio, del quale era divenuto discepolo. Ma anche Graziano sembra lasciare la statua in loco, priva dell’altare. Il quale ebbe una breve riviviscenza quando Flaviano (384-388) credette di potere abbattere il cristianesimo; ma la sconfitta del fiume Frigido (394), si risolse col trionfo di Teodosio, unico imperatore.

[9] )            Epigrafi ritrovate.

[10] )          La porta attualmente in loco è un’imitazione

[11] )          La nuova Era del Senato, decorre dal 1144, ma fin dall’anno 579 d.Ch. l’ufficio del Senatore era andato a fondersi con quello del potere ecclesiastico. Dice Agnello (Liber poltificalis eccl. Raven): “Un po’ alla volta il Senato dei romani scomparve. E allora venne soppressa la romana libertà”.
L’ultimo Senato consulto di cui la storia ha notizia è quello in cui i Patres conscritti vietarono, sotto pena, qualsiasi offerta ed accettazione di danari allo scopo di far riuscire un candidato nelle future elezioni popolari. Votato sotto Bonifacio II (530-532) fu, sotto Giovanni II (533-535), scolpito in marmo ed esposto davanti all’atrio di S. Pietro (tam definita nostra quam Senatusconsulta tabulis marmoreis praecipimus decenter incidi et ante atrium Beati Petri apostoli in testimonium pubblicum collocari).

[12] )           Basiliche greche in Roma = Poco prima della Porta Ostiense, presso la piramide di Caio Cestio,  v’era  un oratorio  del diacono e martire greco Euplo di Catania, eretto al tempo di papa Teodoro (642-649). Altri monumenti del culto greco in Roma erano: il cimitero davanti la Basilica di S. Paolo che aveva portici dipinti, lastricato di marmo ed estese costruzioni solitamente annesse ai cimiteri delle grandi Basiliche. Pure prossimo alla detta basilica, lungo il “porticus quae ducit ad Beatum Paulum apostolum” [porticato che “era il più insigne di Roma per la sua lunghezza e magnificenza e che aveva tutte le colonne di marmo e la volta ricoperta di piombo”, del quale fu ultimo restauratore Benedetto III (855-858)] , vi era un santuario degli Alessandrini, la chiesa del martire Mena, dove, sullo scorcio del VI sec., Gregorio Magno (590-604) vi tenne stazione e predica (Quia longius ab urbe digressi sumus etc).  Passata la porta, dai segni cristiani bizantini, si trova il monastero del palestinese S. Saba (Aventino), fondatore della grande “laura” presso Gerusalemme. Nel secolo VII aveva già dei monaci greci e la prima chiesa s’era stabilita in un oratorio a forma di sala di tarda età romana, in cui va riconosciuto l’oratorio di S. Silvia che stava: “loco qui dicitur cella nova” come “monasterium Cellanova” come lo chiamarono i monaci greci fondatori, forse per imitare la famosa “Laura di Gerusalemme”. Oltre l’”emporium” e gli “horrea” delle XIII e XI regione lungo il corso del Tevere, nel “forum boarium” vi era la “Schola graeca” (Vedi “via della Greca” - Ripa) attigua a S. Maria in Cosmedin, dal greco “l’abbellita” che aveva una chiesa omonima a Costantinopoli, Ravenna e Napoli. Anche S. Anastasia o Anastasis fa pensare ad un’origine bizantina e poco lontano, nel Velabro, S. Giorgio, cavaliere greco, è una chiesa ricostituita da Leone III (795-816).
Così pure la rotonda di S. Teodoro e poi l’oratorio di S. Cesario in Palatio sono monumenti dei bizantini cristiani. La curia del Senato diventa il santuario di Adriano da Nicomedia, in S. Maria in Aracoeli, abita con i suoi monaci Hegumenos (abate), una chiesa diaconale dedicata ai santi eufratesi SS. Sergio e Bacco presso l’arco di Settimio Severo, quella pure diaconale dei martiri della Cilicia Cosma e Damiano ed altre chiese pure greche sorsero nelle vicinanze del Foro.
Ma il monumento della vittoria di Roma orientale è la basilica degli apostoli Filippo e Giacomo minore (SS. XII Apostoli) fabbricata sotto Nartese, in forme greche. Sulla via Palatino-Terme costantiniane, alle falde del Quirinale cui orlavano il pendio grandi portici, che attorniavano la splendida basilica dei Greci in Roma; le colonne residue di marmo pentelico sono poste oggi in una cappella laterale. La chiesa costruita da papa Giulio (337-352) (basilica Iulia) fu ingrandita ed ebbe la pianta dell’”Apostoleion” di Costantinopoli; forma a croce che conservò fin nel secolo XV nonostante i forti cambiamenti già avvenuti.
La costruzione bizantina fu iniziata da Pelagio I (555-561) e proseguita da Giovanni III (561-574) che con Narsete condusse a termine e dedicò il tempio. Un’antica iscrizione nell’abside celebrava il pontefice che “nel tramonto del mondo” aveva creato un’opera così sontuosa (Despexit mundo deficiente premi) ed esortava i fedeli a quelle reliquie traslate dall’Oriente (quisquis lector adest Jacobi pariterque Philippi, Cernat apostolicum lumen inesse loci).

[13] )           La tribuna dei Rostri cominciò ad apparire nel periodo degli scavi fra il 1827 e il 1834 e così pure le basiliche Giulia ed Emilia, raggiungendo, anche in più punti, il pavimento imperiale.
I plutei di Traiano (anaglypha Traiani) che sembra decorassero la tribuna dei Rostri, furono eretti, secondo i più, da Traiano a ricordo  dei due  fatti importanti  del suo impero effigiati sui rilievi stessi. In uno è ricordata l’istituzione della “vigesima haereditatium”, cioè una tassa del 5% sull’eredità, per l’alimentazione dei bambini poveri ed orfani, due dei quali, condotti dall’Italia, si presentano all’imperatore per ringraziarlo; a sinistra una scena secondaria, cioè una locuzione imperiale pronunciata al popolo dai Rostri. Nell’altro rilievo è rappresentato il condono delle vecchie tasse alle province romane, col bruciamento delle relative tabelle tolte al prossimo "Tabularium". I due rilievi riescono anche più interessanti perché riproducono nello sfondo i monumenti stessi del Foro; nel primo si vedono, da sinistra a destra un arco del “Tabulario”, o un arco trionfale distrutto quando fu eretto quello di Settimio Severo; la "Curia" ornata con un portico pentastilo, cioè prima del restauro di Diocleziano, i “Rostra” dinanzi ai due edifici precedenti, sui quali è l’imperatore che parla al popolo; poi uno spazio libero che è la via dell’Argileto, indi la basilica Emilia in forma di lungo porticato, che chiude l’area del Foro, in mezzo al quale figura il gruppo simbolico dell’imperatore che riceve gli omaggi dell’Italia coi bambini beneficiati; infine il "ficus ruminalis" e la statua di Marsia con l’otre che sorgevano nel mezzo del Foro.  Il secondo rilievo comincia con lo stesso motivo del fico e di Marsia, per indicare il legame fra i due plutei, e rappresenta il lato opposto del Foro. Si vede prima, la "basilica Giulia" anch’essa in forma di lungo porticato; poi il “tempio di Saturno”, un altro arco, forse quello di Tiberio; il “tempio di Vespasiano” e infine nella lastra perduta doveva essere il “Tempio della Concordia”.     
Nelle facce interne degli stessi rilievi è raffigurato il sacrificio solenne detto “suovetaurilia (cioè di un maiale, di una pecora e di un toro) che fu compiuto dal popolo e in ringraziamento delle benefiche istituzioni di Traiano.

[14] )            Nel 390 a.Ch. e fino ai restauri di Silla, una statua di  Pitagora  fu eretta davanti alla Curia,  negli angoli del Comizio, insieme a quella di Alcibiade. Plinio XXXIV, 26 (12) – “Invenio et Pythagorae et Alcibiadi in cornibus comitii positas, cum bello Samniti Apollo Pythius fortissimo Graiae gentis iussisset et alteri sapientissimo simulacra celebri loco dicari. eae stetere, donec Sulla dictator ibi curiam faceret. Mirumque est, illos patres Socrati cunctis ab eodem deo sapientia praelato Pythagoran praetulisse, aut tot aliis virtute Alcibiaden, aut quemquam utroque Themistocli.”.
É bene ricordare che il “teorema di Pitagora” è molto, molto più antico, risale ad almeno 1700 anni a.Ch. al tempo di Hammurabi, re della prima dinastia babilonese, contemporaneo di Abramo. Ciò risulta da un testo cuneiforme dell’epoca di Hammurabi, conservato al British Museum sotto il numero 85/196.

[15] )           A Nord del Comizio era la “Graecostasis”.  Dice Varrone: “...sub dextra huius a Comitio locus substructus, ubi nationum subsisterent legati qui ad senatum essent missi...”. A destra dunque dei Rostra (cuius id vocabulum ex hospitibus capta fixa sunt Rostra)  e a destra della Curia, rispetto al Comizio, era la Graecostasis, costruzione che scomparve forse quando Cesare iniziò la nuova Curia. Ed era guardando lungo l’allineamento fra i Rostra e la Graecostasis, che veniva stabilito il mezzogiorno dall’accensus (Equinozio è così detto dal latino “dies aequa noctis”. “accensus consulum”).

[16] )           Comitia - I comizi presso i Romani erano di tre specie:           
1) Curiati = riunione delle curie che, secondo la costituzione di Romolo, ammontavano a 30 (Livio I,13)
2) Centuriati = adunanze delle centurie che per la riforma di Servio Tullio salivano a 193;
3) Tributi = indizione delle Tribù, 30 per la costituzione di Servio e poi 35.
I Comizi presieduti o dal Re, o dal Console, o dal Pretore o dal Dittatore, erano tenuti nei giorni comiziali (184 in un anno) e cadevano sempre nei giorni “fasti”.
Colui che doveva presiedere, avvisava dell’adunanza il popolo “per tres nundinas” e le adunanze plenarie avvenivano nel Campo Marzio (Septa).
I "diribitores”, per l’elezione di un magistrato, davano ad ogni elettore una tavoletta col nome del candidato.
Due tavolette, una con la lettera U.R. (uti rogas) e l’altra con la lettera A (antiqua probo), per la votazione di una legge.
Invece per giudicare una causa, le tavolette in distribuzione erano tre: una con una A (absolvo), la seconda con C (condemno) e l'altra con N.L. (non liquet = non è chiaro).
La centuria, che  doveva votare per prima, era estratta a sorte (praerogativa = chiamata prima).

[17] )           Chiamate anche “Gradus Gemonii” riconnessi a “gemo” cioè con i lamenti dei condannati a morte che venivano giustiziati presso le scale stesse, dove i loro corpi rimanevano esposti al pubblico ludibrio. Un frammento dei fasti Ostiensi ricorda nel 31 d.C. la punizione dei congiurati di Seiano, i quali “in Gem(oniis) iacuerunt”. (Tacito VI-XIX).

[18] )           “Asilum” era detta l’insenatura che era fra le due vette del Campidoglio: l’Arx Capitolina, dove era il tempio di Giunone Moneta e il “Capitolium" vero e proprio dove sorgeva quello di Giove.

[19] )           “S. ADRIAN. quicumque ea traxerint vel fregerint anathema sit”.

[20] )           Ora via delle Terme di Caracalla. Avanti alle terme era la via Nova, collegata all’Appia antica col vicus Delphini.

[21] )           La “Scala Santa” all’epoca si trovava sempre al Laterano e che fu spostata dove è attualmente da papa Sisto V nel 1589.

[22] )           Fu Sisto V ad assegnarlo al Celeste Reale e Militare Ordine di Nostra Signora della Mercede che vi pose la sede Generalizia dell’ordine che contò più di 1530 martiri, numerosi insigni filosofi, teologi, dei letterati, diplomatici, vescovi e cardinali. Tra questi ci fu pure un mercedario (membro dell’Ordine di Santa Maria della Mercede), Giovanni Infante, cappellano di nave del primo viaggio di Cristoforo Colombo che celebrò la prima messa in America (12 ottobre 1492). Per la beatificazione di Cristoforo Colombo, dal 1925 gli “Status Causarum” dicono che, per iniziarne la relativa causa, è necessario “uno studio ed esame critico-storico della vita di questo santo terziario che dimostri la legittimità delle relazioni fra Colombo e Beatrice Emiguez, e conseguentemente del loro figlio Fernando” (Roselly de Lorgues).

[23] )           Antichi templi in Roma – Circa nel 526 ebbe luogo l’adattamento della biblioteca della Pace e della rotonda di Romolo  (figlio di Massenzio) sul Foro nella chiesa di S.S. Cosma e Damiano. Questi edifici avevano più carattere profano che religioso, infatti non erano templi propriamente detti. Nel primo, templum sacrae urbis, si costudivano i libri del catasto e delle gabelle, e perciò nel suo fianco, che guardava il Foro della pace, era affissa, dall’alto al basso, la grande pianta dell’Urbe incisa in marmo. Il tempio di Romolo era destinato, sotto Costantino, come monumento a memoria ed onore della sua Famiglia, al fine di magnificare e celebrare la sua Casa Flavia e quindi aveva tutto il carattere di monumento onorario piuttosto che edificio religioso.
Così per il tempio di Saturno, sotto il Campidoglio. L’Aedes Saturni aveva servito, più che d’abitazione del nume e pel suo culto, di erario ed aveva propri questori e prefetti per la sua guardia ed amministrazione. Sotto gli imperatori cristiani le si tolse nome e culto del Dio, ma fu mantenuta come custodia del tesoro e per questo restaurata [forse al tempo di Graziano (315-383)] seppure, secondo il decadimento di quel tempo, le basi fossero di grandezza disuguale ed i rocchi di 3 colonne sovrapposti senza veruna gradazione.
E per quelli di carattere prettamente religioso, una legge di Onofrio (395-423) promulgata subito dopo la morte di Teodosio, diceva: “In quella guisa che vietiamo i sacrifici, vogliamo altresì che si conservino gli edifici pubblici ad ornamento della città”. E confermava nel 408 che: “i templi si avessero nella città e nei sobborghi siccome possessione dello Stato, laddove gli altari dovessero venir distrutti”. E precedentemente l’imperatore Costante (338-350) aveva decretato che poiché “parecchi di questi santuari, han dato origine agli spettacoli pubblici, ai circensi, ossia ai certami agonali, e non conviene che vada perduto quello da cui si derivano i vetusti sollazzi del popolo romano”.
E dei giuochi, quello che delle primitive consuetudini fu conservato è puramente civile, lasciando da parte ogni significato pagano. Come Costantino, per la direzione dei giuochi presso i suoi templi onorari, aveva nominato dei così detti sacerdotes puramente civili, così fecero i suoi successori (calendario Filocalo a metà del IV sec. e Pobomio Silvio a metà del V sec.), tanto che nel V sec. venivano ancora festeggiati in Ostia i “ludi Castrorum” con intervento del prefetto cristiano giacché al culto di Castore e Polluce nessuno pensava più.

Il santuario degli Arvali è in parte ancora conservato ed è situato al 5° miglio della via Campana (del Campo delle Saline) che esce dalla Portuense che serpeggiando per collinette e campi corre lungo il Tevere, Questo santuario, all’epoca frequentatissimo, rimase integro perché era sotto la protezione delle leggi e comprendeva  il monumento del culto della Dea Dia che, secondo gli antichi, era stato introdotto da Romolo. I più illustri dell’aristocrazia, anzi persino membri della Casa Imperiale, appartenevano, al tempo  del fiorire di questo culto, al collegio dei sacerdoti di questo tempio: i fratelli Arvali.
Prossimo a questo, ve n’era un altro chiamato Caesareum, dove era praticato il culto degli Augusti divinizzati. In un circo quivi dappresso si davano dei giuochi in loro onore, ed un boschetto sacro racchiudeva tutti gli accennati luoghi di culto degli Arvali. Ebbene, come detto, quando andò in vigore la legge di Graziano (375-383), che confiscava i beni dei templi, questi rimasero integri, mentre il boschetto sacro dovette passare di proprietà della Chiesa. Infatti papa Damaso (366-384) eresse nella sua cerchia, presso il limite, un oratorio cristiano che veniva a trovarsi poco lontano dal cimitero di Generosa ove, durante la persecuzione di Diocleziano, erano stati deposti S. Viatrice (Beatrice) e i suoi fratelli martiri.
Le statue dei templi servirono per ornamento ed abbellimento dei pubblici edifici, tanto che vennero nominati dei “curatores statuarum” ai quali incombeva il trasporto e la vigilanza delle medesime.
Teodosio (394-395), nel suo discorso al Senato: “Cessate dalle feste puerili e dai sacrifici indegni d’un si grande imperio. Mondate le marmoree immagini, che sono state lordate dalle vostre sozze aspersioni e lasciate alle statue la loro pura bellezza. Son desse opere di grandi maestri; noi vogliamo che rimangano testimoni imperituri dell’arte, sieno d’abbellimento alla vostra città e nessun malo uso d’ora innanzi abbi più a deturparle”. Perciò le statue tolte dal loro luogo rimasero anonime.

[24] )           Secondo altri, l’origine di questa festività si trova a Gerusalemme, dove la “Peregrinatio Etheriae” è celebrata sotto il nome di “quadragesima di Epiphania”, la quale ultima è per gli orientali il “Natale”, così che la Quadragesima era appunto il 15 aprile, giorno delle “Lupercalia”. Per l’Occidente invece, che ha il Natale il 25 dicembre, la quadragesima cade il giorno 2 febbraio, festa della Purificazione. Tutto ciò non inficia il merito di Gelasio I di aver ritrovato in una ricorrenza orientale il mezzo di far dimenticare ai romani il “februum purificatore” (la festa dei Lupercali).

[25] )           Riferimento alle ore canoniche che sono : « matutinum » nella notte ; “ad laudes” all’alba ; “ad primam” ore 6 ; “ad terziam” ore 9 ; “ad sextam” ore 12 ; “ad nonam” ore 15 ; « ad vesperas » ore 5 pomeridiane; e quindi il “compietorium” (al crepuscolo).

[26] )           Con Breve del 29 dicembre 1588, la Chiesa di San Luca, prossima a dove oggi sorge l’obelisco in piazza Esquilino, venne abbattuta. Gregorio XI l’aveva concessa alla Basilica Liberiana nel 1371 e Sisto IV, nel 1478, alla compagnia dei pittori (Accademia di San Luca). Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), spostata l’Accademia di San Luca a Santa Martina al Foro Romano, fece demolire la chiesa di San Luca per l’allargamento della Piazza e l’elevazione dell’obelisco. Nel 1650 si vedevano ancora tracce della Chiesa di San Luca presso la villa Peretti-Montalto.

[27] )          L’Accademia di San Luca fino al 1874, ebbe la presidenza dell’Accademia delle Belle Arti in Roma.

[28] )           A fianco dell’aula, come è detto nel IV,1 delle sue “Res gestae”, Augusto aggiunse un portico, detto “Chalcidicum” (gran sala, portici da passeggio, logge) che si crede fosse destinato a conservare tutti quegli oggetti di oro e di argento che fino a Cesare erano esposti “in Comitio, in Vestibolo Curiae”.

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Via_Bonella

Via Bonella
Oggi via della Curia

Tra la chiesa di Santa Marta (a sinistra) e la Curia (a destra)

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