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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via di San Nicola dei Cesarini (R. IX – Pigna) (da corso Vittorio Emanuele II a via Florida)

La  via  prende il nome dalla chiesa omonima, demolita [1] con gli scavi (1926-1928) dei templi repubblicani a Largo Argentina.
Della chiesa medioevale, trovata a più basso livello, e precisamente nell’ambito del tempio di destra dell’area sacra del detto Largo (detto Tempio A), è stata rinvenuta l’abside con resti pittorici del XII sec. ed un altare dell’epoca stessa.
La chiesa superiore, che era congiunta al palazzo del  Cesarini, fu detta, per corruttela, “de’ calzolari” ma già nel XI sec. si diceva “de calcario [2] in regione vineae Thedemarii [3]” e nel secolo XIV  “parrocchia San Nicolai de Calcaris” ed, in seguito “S. Nicola in Calcario retro Cesarinos”.

Da alcuni genealogist i Cesarini sono fatti discendere semplicemente dai Cesari, altri invece dai medievali Montanari.
Il più illustre della casata fu un Cardinale  Giuliano Cesarini (1398-1444) “senior” (la casata ne ebbe quattro) che Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) mandò legato in Ungheria, dove morì nel 1444, nella battaglia di Varna.
Il cardinale “... lo quale in nello soprascritto tiempo mannò allo papa un animale chiamato dormentario (dromedario) et era secunno vederete in questa faccia, et era femmina, et era prena (gravida), et era de grannezza più che niuno cavallo, et quanno se faceva annare forte de passo avevano fatiga li cavalli a giognerlo correnno”.
Il censo della famiglia (estinta nel XVII secolo) fu costituito dal cardinale Giuliano "iunior" (1466-1510) [4] e passò agli Sforza, quando Don Felice Sforza sposò l’ultima dei Cesarini, donna Livia (suor Pulcheria), già oblata del monastero dei Sette Dolori, nonostante le opposizioni legali ed extra legali dei Colonna.
Questi tentarono, sembra, anche un omicidio in persona di Monsignor Altoviti che, insieme al nipote di Clemente X (Emilio Altieri - 1670-1676), cardinale Paluzzo Altieri, proteggeva i fidanzati, poi sposi, nella chiesa di S. Biagio “de Cantu Secuto” (della Pagnotta - in via Giulia).

Le proprietà edilizie dei Cesarini si estesero nel Rione fino alla via de’ Boccamazzi (via del Sudario) e fu in una di queste, quella “attaccata al palazzo grande”, che, alle ore 17 del giorno 25 febbraio 1547, morì Vittoria Colonna.
Esposta nella sala maggiore [5], che guardava sul giardino dell’Argentina, la salma fu poi tumulata nella chiesa [6] di Sant’Anna dei Falegnami [7] da dove sembra sia stata trasferita, fin dal XVI secolo, accanto al marito Ferdinando Francesco d’Avalos  marchese  di  Pescara  (1490-1527),  il  vincitore  della  battaglia di Pavia (1525), sepolto in Napoli nella chiesa di S. Giacomo Maggiore.

In questo “palazzo grande”, si vedeva  il primo stemma dei Cesarini (un monte verde con un colle sopra) che, al principio del ‘900, per una pretesa vittoria sugli Orsini, vollero trasformarlo, adottando una colonna cui era legato un orso, il tutto sovrastato dall’aquila imperiale, Pasquino suggerì: 

“Redde aquilam Imperio, Columnis redde columnam
Ursam Ursis: remanet sola catena tibi”. 

Dei templi scoperti [8], nella demolizione della piazza, nel 1927, il tempio B, rotondo dovrebbe esser quello della “Fortuna huiusce diei” (la fortuna di oggi) [9], eretto da Q. Lutazio Catulo nel 100 a.C.; il tempio A è molto probabile si tratti di quello di “Giunone Currite”, il culto della quale fu introdotto a Roma nel 241 a.C., quando fu distrutta Faleria. Tale data concorda esattamente col podio del tempio primitivo, rimasto al di sotto di quello rifatto nella tarda Repubblica; il tempio C sarebbe di “Feronia”, del quale non si conosce l’anno di fondazione, ma non è molto lontano dal 293 a.C., quando i Romani trasferirono questo culto da Capena a Roma.  Un’iscrizione incisa sopra l’asta pertinente al tempio C, riguardante un restauro di Postumio Albino (321 a.C.), accerta che si trattasse di un culto agricolo. Il quarto tempio D [10] (e forse il più antico tempio in pietra conservato in Roma), non è stato ancora esplorato.

Quello però che arreca somma meraviglia, l’irriverenza con la quale, quasi a ridosso delle celle dei detti templi, i romani costruirono un monumentale collettivo...water closet (forica).[11]

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[1] )            È stata riedificata nel 1611, poi nel 1695 sotto Innocenzo XII (Antonio Pignatelli - 1691-1700).

[2] )            Le più importanti « calcare » stavano presso il Foro, appunto per la quantità dei marmi e delle statue che vi si potevano asportare per fabbricare calce. Ad esempio, la Camera Apostolica, sotto Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503), le aveva affittate ad imprenditori; e l’Arciconfraternita della Santa Santorum aveva in possesso le calcaree del Colosseo.

[3] )            Da un codice del XIV sec. si legge: “Sexta Regio Sancti Eustachii et vinee Tedemarii”. Nel Regesto Farfense è scritto: “Tedmarus, Tedimarius e Teudemarius”. Si ritiene che la vinea partisse dai margini del Circo Flaminio e raggiungesse il Satro (regione adiacente a S. Barbara dei Librai - Via dei Giubbonari). Su Tedemario nessuna informazione certa. Chi lo riteneva un tedesco, chi un nobile romano, altri un nobile tiburtino detto Castaldi Tedemario, in un documento tiburtino del 945. Ma sin dalla fine del sec. XIV il nome Vinea Tedemarii decade e non vi si accenna più nella prima metà del XV secolo, anche in quella parte compresa poi nei rioni Pigna e S. Angelo.

[4])             Il cardinale Giuliano Cesarini era il fratello di quel Giovanni Andrea che il 24 gennaio 1482 aveva sposato Girolama Borgia, figlia naturale del cardinale Rodrigo (Alessandro VI).

[5] )            La salma della Colonna fu visitata da Michelangelo che sempre si rammaricò di averle baciata, in quell’occasione, solo le mani e non la fronte.

[6] )            La chiesa era tenuta dalle monache “Santucce”, presso le quali aveva precedentemente vissuto.

[7] )            Per molto tempo lì presso vi ebbe sede l’Istituto Tata Giovanni e nella chiesa vi celebrò la prima messa il sacerdote Giovanni Mastai Ferretti (Pio IX 1846-1878).

[8] )            Tutta l’area subì danni nell’incendio dell’80 e in quello del 103, per cui Domiziano (81-96) restaurò i templi e poi Adriano (117-138) li rinchiuse in una specie di grande palazzo che rispettò soltanto le antiche facciate. Più tardi, a nord dell’area, fu innalzato un portichetto con tutto materiale di riporto e dietro furono collocate delle taverne.

[9] )            “Nam valet in omnes dies” dice Cicerone.

[10] )           A questo tempio (Tempio D) viene da molti archeologi attribuita la dedicazione ad Ercole. Le vestigia di esso sarebbero alcuni tratti di mura in opera quadrata, esistiti nelle cantine della casa al numero già 6 di via Florida (ora demolita), corrispondente a quel punto dall’odierno limite meridionale dell’area sacra, che si trova di fronte al portone 20 di via Florida ed alla vicina bottega (già) di barbiere.  Si tratterebbe del tempio di “Hercules Magnus Custos”, del quale abbiamo notizia fin dal 218 a.C., per una “Supplicatio” decretata "ad aedem Herculis” (Livio, XXI, 62, 9) mentre nel 189 a.C. vi fu collocata una statua del dio,  in bronzo dorato (Livio, XXXVIII, 35, 4). Fu detto "Custos” perché protettore del Circo Flaminio (insieme al quale fu forse eretto, per responso dei libri sibillini). La sua festa si celebrava il penultimo giorno delle None di giugno (4 giugno) insieme coi ludi in porticu Minucia, ancora nella prima metà del IV secolo. Il tempio, restaurato completamente da Silla (137-78 a.C.) fu anche chiamato Hercules Sullanus. Lugli invece attribuisce ad Ercole il tempio B rotondo, il cui culto richiedeva, come divinità italica antichissima, la forma tradizionale della capanna (come per Vesta), ed il tempio D a Giunone regina il quale, come erano di solito i templi di Giunone, è privo di periptero. Il tempio fu dedicato nel 179 a.C. da M. Emilio Lepido, il 23 dicembre, insieme a quello A, che il Lugli crede sia quello di Diana, votati entrambi dal suddetto censore otto anni prima, quando, come console, combatté la guerra Lugustiana contro i Liguri. Circa il tempio C non fa nomi, ma dubita che quello della "Fortuna Huiusce Diei” facesse parte di questa specie di "Temenos” che era l’area sacra dell’Argentina e crede di doverlo collocare più vicino ai Saepta che al Circo Flaminio. Riconosce nel C, per livello e costruzione, il più antico degli altri due tempi e, secondo la muratura, lo attribuisce alla fine del IV o agli inizi del III secolo a.C., non molto dopo la costruzione delle mura pseudo Serviane. Subito ad occidente nel tempio C., dove esistono un grande basamento di tufo con sopra un portico, un piccolo atrio e altre stanze di forma incerta, è riconosciuta da molti la "curia ad Apollinis” cioè l’aula in cui soleva talvolta radunarsi il Senato durante la Repubblica, prossima se non proprio collegata, al tempio di Apollo; questa aula fu trasformata da Pompeo, che le dette il suo nome. Quanto alla ipotesi sollevata da alcuni, che il tempio C fosse un secondo tempio di Apollo, già Veiove, in seguito ad una confusione fatta dai Romani stessi fra queste due divinità, il Lugli opina che unico tempio di Apollo in Roma, durante la Repubblica sia stato quello presso il teatro Marcello. Tutte le memorie indicate dagli antichi con riferimento “ad Apollonis” vanno secondo lui riferite alla zona fra questo tempio e il portico di Ottavia, il teatro di Marcello e le pendici del Campidoglio. Crede pure che la “dacuria ad Apollinis” deve essere riconosciuta in quell’aula rettangolare, recinta da grossi blocchi di tufo e pavimentata a mosaico grossolano, che è stata scoperta nel fare le fondamenta del secondo palazzo degli uffici municipali fra via della Consolazione e l’antica via del Mare. Circa il basamento di tufo ad occidente del tempio C., con sopra un portico, di cui sopra, il Lugli crede possa essere stata la "Domus in Campo”, come appare dalla forma della costruzione simile alle Case di Pompei.
Tempio C - Lo scavo della platea dinanzi al tempio ha portato alla scoperta di un'ara di peperino, lunga metri due e 60 è alta metri 125, con le cornici terminali di sagoma arcaica e con l’iscrizione sul fianco destro: “A(ulus) Postumius A(uli) f(ilius) A(uli) n(epos) albinus duovir lege Plaetoria reficiundam coeravit”.
Secondo l’uso greco l’ara è longitudinale rispetto all’asse del tempio, e la data della iscrizione è da attribuirsi fra il 182 e il 161 a.C. e, poiché nel testo si parla di un restauro, è logico pensare ad una ara più antica.

[11] )           Prossimo era “l’Hecatostylon”, portico formato da 100 colonne, che serviva di passaggio e ritrovo al coperto dalle ingiurie stagionali. Tra piazza San Nicola de’ Cesarini e Santa Andrea della Valle si estendevano i giardini di Pompeo e la contrada era detta “ad theatrum lapideum”. I giardini erano recintati in un immenso rettangolo da portici, aule ed esedre, compresi tra i due estremi suddetti in lunghezza ed in larghezza tra il corso Vittorio Emanuele, via dei Giubbonari e San Carlo ai Catinari.

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Lapidi, Edicole e Chiese nella Piazza:

- Via di San Nicola de´ Cesarini
- Area sacra

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Vicolo di S. Nicola de´ Cesarini

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